La Parabola della Novela

Eugenia Maria Galeffi

Si dice che la “novella” sia qualcosa di misto tra il romanzo e il racconto e che descriva le usanze e i sentimenti, oppure un’avventura contenuta in una determinata cornice. È veramente un genere difficile da definire con precisione, come dice giustamente l’Enciclopedia Italiana Treccani. Infatti, in origine non c’era la differenza che si pone oggi tra questi tre generi.
Già Le mille e una notte erano costituite da una serie di racconti, uno dietro l’altro, raggruppati insieme e Il Decameron è citato come massimo esempio di struttura a cornice di tipo europeo, diventando un inevitabile punto di riferimento per quanto riguarda l’evoluzione dei procedimenti narrativi.
Alla fine del Duecento in Italia, oltre alla letteratura d’ispirazione francese in verso, troviamo delle raccolte di novelle come Il Libro dei Sette Savi e Il Novellino. Quest’ultimo è, per esempio, una raccolta di cento novelle (di breve durata), che narrano avvenimenti, sagge risposte, amori, leggende, cortesie e i cui racconti si svolgono in quel mondo fiabesco proprio della letteratura medievale del ciclo bretone, pieno di anacronismi e ingenuità letterarie, come se il mondo della favola fosse quello reale.
Con Boccaccio, però, le novelle acquistano quel realismo preumanista che gli è caratteristico. Libero da ogni preoccupazione morale e religiosa come avveniva con Dante, nel suo capolavoro egli raggiunge il punto più alto della sua fantasia raccogliendo cento novelle in una cornice.
Altri novellieri del Trecento italiano subirono l’influenza del Boccaccio come Giovanni fiorentino (che scrisse Il Pecorone), Giovanni Sercambi lucchese (che scrisse le sue novelle) e Franco Sacchetti (che ci lasciò le sue trecento novelle).
Anche in Inghilterra il Boccaccio servì come modello al grande poeta del Trecento Geoffrey Chaucer con i suoi famosi Racconti di Canterbury, sebbene questi siano in versi.
Nel Seicento gli inglesi chiamavano novella qualsiasi racconto o storia che avesse la struttura di quelle del Boccaccio. La Penisola Iberica, ancora nel Seicento, aveva come modello di romanzo il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes. E con l’avvento del romanticismo i modelli medievali vennero a galla.
Walter Scott destò negli scrittori del romanticismo del mondo come Balzac, Almeida Garrett, Puskin, Manzoni e tanti altri, il fascino delle ricostituzioni storiche e il gusto pittoresco del popolo.
Ma per l’arte del novellare quello che importa è raccontare, è narrare e l’ artista indubbiamente, al momento della creazione, non si preoccupa se scrive un racconto, un romanzo o una novella. Senza dubbio, in epoca moderna il genere “racconto” si è largamente diffuso. E il russo Anton Tchecov contribuì definitivamente alla diffusione di tale genere letterario.
In Inghilterra Katherine Mansfield e Virginia Woolf influenazarono la tecnica del racconto lungo e la “novelette” di Henry James.
Condividiamo l’opinione di Jorge de Sena1 quando dice che nel dare una definizione precisa della “novella” bisogna distinguere due fattori: uno di quantità e l’altro di qualità, dato che esistono dei romanzi più brevi di alcune novelle e viceversa. In effetti, al romanzo si attribuisce un’ampiezza e una complessità nella rappresentazione della vita, ma bisogna pur pensare al limite numerico fissato da Eduard Morgan Forster (autore di “Passaggio per l’India”) che aveva stabilito un limite meramente quantitativo e cioè: le opere che hanno più di 50.000 parole sono considerate romanzi. Dall’altro lato la qualità della narrazione, quando si limita a un incidente, un aneddoto, un’atmosfera, una “sospensione” nel tempo, automaticamente “sospende” il “racconto” di una storia in cui il tempo fluisce e l’evoluzione dei personaggi non è così minuziosamente osservata e giustificata come nel romanzo. Questo sarebbe la “novella”.
Il problema fondamentale della novellistica, come del resto quello del pensiero filosofico dei nostri giorni (Bergson, William James, Freud, Heidegger, Husserl) riguarda il tempo. A.A. Mendilow analizza i valori temporali della novella e così li divide: durata cronologica della lettura, durata cronologica dello scritto; durata pseudocronologica del tema della novella – il tempo della favola; la posizione del presente nella favola; il tempo locale del lettore; il tempo locale dello scrittore; il tempo locale del tema della novella; il tempo psicologico; la durata psicologica dello scritto; la durata psicologica dei personaggi nella novella2. Nella narrativa moderna, però, il tempo si è interiorizzato, sciogliendosi dai rigidi schemi cronologici.
Il racconto appartiene al vasto dominio della comunicazione orale che si è tramandata da generazione in generazione nelle culture dei popoli divenuti modelli in una serie di generi come il mito e la favola, le canzoni di gesta e il poema, la novella e il romanzo: odierni rappresentanti della “narratività”.
Ricordiamo, però – usando le parole di Romano Galeffi – che “i cosiddetti generi non passano di categorie empiriche, variabili – in principio – e moltiplicabili all’infinito, che per meritare l’attributo dell’artisticità devono proporzionare la possibilità di sempre nuove manifestazioni di bellezza da parte dell’ “artista” e che non ci si accorge mai in modo sufficiente che la preferenza di uno su tutti gli altri è una mera questione di gusto, potendo la storia testimoniare come alcuni di essi che parevano definitivamente superati o estinti, resuscitino periodicamente sotto differenti denominazioni e come, anche quando determinato genere o una determinata poetica predominano in certo ambiente, nessun vero artista è costretto a condividerli, poiché egli ubbidisce appena alle norme delle quali la coscienza di artista ne rimane l’unica e autonoma legislatrice” 3.

NOTE BIBLIOGRAFICHE:

1 SENA, Jorge de. Prefácio. In: Novelas Inglesas. São Paulo, Cultrix, s/d., p. 20.
2 HADDAD, Jamil Almansur. Prefácio. In: Novelas Brasileiras. São Paulo, Cultrix, 1963, p. 8.
3 GALEFFI, Romano. Fundamentos da Crítica de Arte. Salvador, Centro Brasileiro de Estudos   Estéticos, 2ª ed., 1988, p. 146

 


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