"Quel che xe bon, pal Re, xe bon, anca pa la Regina": storia, mito e leggenda degli Alpini

Franco Vicenzotti

A partire dal 2005 terminerà la leva obbligatoria in Italia e si passerà ad un esercito professionale sulle orme dei paesi più avanzati nell’Occidente.
L’esercito di popolo, introdotto in Italia ad imitazione del modello napoleonico diventerà storia. Lo stesso avverrà per le truppe alpine: non nel senso che non esisteranno più brigate addestrate alla guerra di montagna, naturalmente, ché saranno semmai sempre più preparate alle nuove sfide tecnologiche che la moderna scienza militare comporta - ma nel senso che avrà fine quella simbiosi costante fra truppe di montagna, territorio e popolo che è una componente antropologica - per non dire di civiltà - del paesaggio umano e fisico delle regioni prealpine. Nel Triveneto - ma anche in Piemonte, Liguria e Lombardia - quando si parla di esercito si parla di truppe alpine, che sono assurte al luogo di una specie di milizia territoriale con precise funzioni di difesa e protezione del delicato ambiente alpino.
Non vi sono stati recenti disastri in tale area geografica che non abbiano visto la totale abnegazione di tali truppe nel soccorso alle popolazioni affettate, sia nel tragico terremoto del Friuli, sia nella sciagurata vicenda della Diga del Vajont, tragedia più volte annunciata e denunciata che per l’incuria e la neghittosità delle autorità preposte portò alla totale scomparsa dei deliziosi paesi di Longarone Erto e Casso.
Questa dedizione, questo spontaneo altruismo è naturalmente la conseguenza del fatto che gli alpini sono diretta espressione del territorio in cui sono nati e cresciuti: spesso il nipote adempieva al suo dovere costituzionale al servizio dell’obbligo nella stessa caserma in cui lo avevano svolto il padre ed il nonno; pertanto l’identificazione del soldato con il territorio che veniva chiamato a difendere era sempre stata totale: gli alpini difendevano sostanzialmente le loro famiglie ed il territorio in cui erano cresciuti.
Nel Triveneto, non si ammetteva che l’obbligo militare potesse essere prestato sotto un’altra arma e ai pochi sfortunati che venivano dirottati presso l’aviazione, la marina - ultima iattura - la fanteria di campagna, toccava lo scherno e il ludibrio, neanche tanto mimetizzati di amici, parenti e fanciulle, infatti erano le ragazze le prime a ricordare che “Quel che xe bon, pal Re, xe bon, anca pa la Regina”, con doppi sensi neanche tanto nascosti, tra la penna, sempre ritta ed acuta, che certifica la condizione del soldato e le sue capacità riproduttive.
La storia degli alpini come corpo specialistico delle guerre di montagna è relativamente recente. È in forza del Regio Decreto del 15 ottobre 1872 che vengono istituite, nell’anno seguente, le prime 15 compagnie alpine che con gli anni diventeranno ben 5 brigate, la Taurinense, la Julia, la Carnia, Cadore, la Tridentina ecc, che si copriranno di gloria nella 1ª e nella 2ª Guerra Mondiale; sì anche nella 2ª, che notoriamente fu un disastro, quando nella drammatica ritirata dalle gelide steppe ricoperte di neve dell’inverno russo, le truppe alpine, senza armi adeguate soprattutto senza abbigliamento idoneo, riuscirono a sfondare l’accerchiamento dei sovietici ben diversamente attrezzati a Nicolaievka, cominciando quella ritirata verso l’Italia che poterono raggiungere in poco più di due mesi, in drammatiche condizioni ambientali, percorrendo a piedi più di 10.000 Km: dei quasi 300 mila soldati che l’Armir tra cui la Taurinense e la Julia, aveva portato in Russia, ne tornarono qualche decina di migliaia.
L’epica alpina è talmente importante per le popolazioni venete che è diventata oggetto di opere letterarie di notevole valore, tra le più importanti che la letteratura mondiale conti come denunce contro la guerra e appelli alla solidarietà umana, ad opera di due grandi autori veneti. Sto parlando naturalmente del “Sorgente nella neve” di Mario Rigoni Stern e di “Centomila gavette di ghiaccio” di Giulio Bedeschi in entrambe queste opere la storia viene raccontata dal basso, dalla percezione dell’uomo del popolo, montanaro, contadino, artigiano, umile tra gli umili che non capisce perché deve andare a combattere, forse a morire, soprattutto a uccidere altri contadini, artigiani, umili come lui che aldilà di lingue differenti, vivono, amano e soffrono le stesse emozioni che lui vive.
Il percorso letterario di Mario Rigoni Stern è particolarmente interessante, in qualche modo esemplifica la psicologia dell’Homo alpinus: sopravvissuto alla guerra è tornato nel suo adorato Altopiano di Asiago diventando il difensore non solo della memoria storica e dell’eroismo dei suoi commilitoni in Russia ma soprattutto il cantore, l’aedo, della delicatissima e bellissima flora e fauna del suo Altopiano, e delle splendide vette che lo delimitano: un ecologista appassionato che canta l’amore tra tutti gli esseri che vivono in montagna e il dovere di rispettare con armonia le loro diverse esigenze; d’altro canto, con il suo “Centomila gavette di ghiaccio” Bedeschi è stato il primo grande clamoroso caso di Best Seller nell’immediato dopoguerra; se ne può capire il perché se si ricorda alcune poche parole dello stesso Bedeschi nella breve prefazione al romanzo: “l’autore affida al lettore la storia vissuta da un esiguo reparto; omettendo gli autentici nomi ha voluto deliberatamente trascendere le singole persone, perché questa è stata davvero la storia di tutti gli alpini, e perché in essa tutte le madri possano intravedere il volto dei loro figli e riviverne la storia di dolore e di morte. L’affida, ancora, ai compagni sopravissuti, a testimonianza del loro inaudito partire; l’affida a quanti vogliano tenere vivo il ricordo di coloro che non tornarono”. Concludiamo con una breve annotazione di carattere storico: quando, come già detto, il Senatore, Gen. Perrucchetti decise di costituire le prime 15 compagnie alpine, non inventava nulla di originale, non faceva altro che ridare vita alle “coortes alpinorum” che i romani antichi già avevano organizzato all’interno delle loro legioni: il due gennaio 1988 nell’antica Salona (Spalato) cresciuta attorno al palazzo imperiale di Diocleziano veniva rinvenuta un’iscrizione romana in cui si riconoscevano le benemerenze e si concedeva la cittadinanza romana ai soldati, a piedi e a cavallo - peditibus et equitibus - della 1ª legione alpina colà stanziati. Insomma “Nihil sub solem novi” e, potremmo concludere, la millenaria storia dell’Italia è anche la millenaria storia degli alpini. Ad un altro articolo la presentazione delle splendide canzoni di montagna patrimonio della creatività degli alpini stessi, nonché un’analisi approfondita del contributo di sangue dato durante la resistenza post-bellica.

 


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