Perché leggere Silone oggi?

Doris Nátia Cavaliari

Ignazio Silone, nato il primo maggio 1900 a Pescina dei Marsi in Abruzzo, è uno scrittore polemico che visse intensamente i problemi del ventesimo secolo e produsse un’opera narrativa che rappresenta la condizione dell’uomo nell’ingranaggio del mondo attuale, scegliendo per scenario il paesaggio più arido dell’Abruzzo perché in esso la condizione umana del nostro tempo mi appare più spoglia, quasi a nudo (Uscita di sicurezza, 1971:187).

L’autore, che fondò insieme a Gramsci il Partito Comunista Italiano nel 1921 e ne uscì nel 1930 a causa dell’assurdo totalitarismo stalinista, affermava spesso che lo scrivere era per lui la solitaria continuazione di una lotta, perché gli scrittori hanno il dovere morale di illuminare l’opinione pubblica sulle questioni da loro approfondite. Silone credeva che l’arte richiedesse, oltre alla pazienza e alla perseveranza, anche la virtù della sincerità (come si legge in un suo articolo dallo stesso titolo pubblicato ne La Fiera Letteraria – 19/9/1965), dato che il talento letterario non deve sottomettersi alle preferenze del gusto momen-taneo del pubblico, alle teorie della critica e all’approvazione dei potenti.

Fontamara, scritto durante l’esilio nel 1930, è il primo e più conosciuto romanzo dell’autore e presenta una caratteristica fondamentale di tutta l’opera siloniana: la rappresentazione della parola altrui. Silone dà vita ai suoi personaggi fornendoli di una voce adatta, perché esprimano il loro punto di vista nel mondo, qualunque sia il ceto sociale a cui appartengano; perciò lo stile è fluido e porta il lettore a seguire le tante voci umane che compongono la società da lui ritratta.

Lo stile scorrevole del testo siloniano diede alla maggior parte della critica italiana la falsa idea di una mancata preoccupazione stilistica dell’autore e fece di Silone un autore più apprezzato all’estero che al proprio paese, benchè il valore morale del suo testo sia sempre stato riconosciuto, mentre la sua opera fu discussa dentro quello che si chiamò “il Caso Silone”.

Nel 2000 si sono celebrati i cent’anni della nascita dello scrittore con un “Nuovo Caso Silone” sorto per ragioni estranee alla letteratura e all’arte - Luigi Russo, nel 1951, scrisse questa frase per giustificare il successo di Silone fuori dell’Italia. L’autore abruzzese è stato accusato dagli studiosi Dario Biocca e Mauro Canali (nel libro L’informatore Silone: i comunisti e la polizia) di essere stato un informatore della polizia fascista. Cent’anni dopo, Silone, scrittore, attivista politico, giornalista e uno dei principali esponenti del movimento per la libertà della cultura iniziato nel dopoguerra, è diventato persona non gradita agli italiani, i quali lo vogliono scordare.

La sua opera continua, però, ad essere viva e a provocare le reazioni più contraddittorie. Il testo siloniano è al di sopra di qualsiasi problema extra-letterario e rappresenta ancora la parola di uomini che esprimono la difficoltà di vivere e sopravvivere nel secolo della comunicazione di massa.

L’opera siloniana sarebbe “poco utile” in un mondo dove non vi fossero contadini senza terra per coltivare, dove non esistessero ingiustizie sociali e neanche politici corrotti, in un mondo che non fosse controllato dai mass media, dove i ricchi signori e i ricchi paesi non opprimessero i poveri e non comandassero il loro destino; un mondo del genere sarebbe senza guerre, senza armi e senza nessun tipo di dittatura, compresa quella che tante volte si traveste sotto il nome di democrazia, e non sarebbe necessario lottare per la libertà. Giudichi allora il lettore se valga la pena conoscere l’opera letteraria di Ignazio Silone.

Doris Nátia Cavaliari é professora da Área de Língua e Literatura Italiana da F.F.L.C.H da USP. Doutora em Teoria Literária pela FCL-UNESP-Assis, com a tese A arte de representar o outro: Silone e a criação de um universo polifônico.

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