Leonardo Bruni i
fondamenti della teoria della traduzione
Mauri Furlan
La legittimazione accademica
della traduzione come scienza e gli studi partecipi dell’area
indicano la necessità e collaborano allo sviluppo di una storia
(generale e parziale) della teoria della traduzione. Le teorizzazioni
della traduzione, allo stato attuale, si fondamentano chiaramente
nelle rifl essioni prodotte a partire dal Rinascimento europeo, fomentato
dagli umanisti italiani nel XV secolo.
Senza disconsiderare
i 15 secoli anteriori di traduzioni prodotte in Occidente, che abbracciano
l’Antichità classica romana e il Medioevo, con importanti
nomi di pensatori di pratica della traduzione, come Cicero, Gerolamo,
Boezio, Roger Bacon tra gli altri, possiamo affermare che Leonardo
Bruni, con Derecta interpretatione, produce un testo miliare tra il
Medioevo e il Rinascimento, fondatore della rifl essione moderna circa
la traduzione.
Leonardo Bruni Aretino
(1374-1444), scrittore, politico, fi lologo, filosofo, storico, professore
di retorica, traduttore, fu uno degli uomini più talentosi
e versatili tra quelli appartenuti al circolo dell’umanista
Coluccio Salutati (1331-1406) negli anni intorno al 1400. A causa
di problemi suscitati da una traduzione al latino della Ethica Nicomachea
(1416-18) di Aristotele, Bruni scrisse Derecta interpretatio [Della
traduzione corretta], datato tra il 1420 e il 1426. Questo testo è
considerato il primo trattato moderno nel presentare in una forma
indipendente riflessioni sul compito del tradurre, specialmente sulla
traduzione letteraria, ed è con lui che si inizia la storia
dei manuali di traduzione. Non invano nel suo saggio si documenta
per la prima volta la parola traduco:
Dico igitur omnem interpretationis
uim in eo consistere, ut quod in altera lingua scriptum sit, id in
alteram recte traducatur (Bruni 1928: 83).
Affermo, dunque, che
la proprietà della traduzione consiste in che quello che fu
scritto in una lingua sia traslatato correttamente ad un’altra.
Il pensiero di Bruni
è la comprovazione di uno sviluppo nella concezione del modo
di tradurre che era cominciata almeno un secolo prima e che in qualche
maniera ha le sue origini tra i romani. È possibile riconoscere
nel testo bruniano le opinioni di Cicero sulla traduzione, come quelle
che (1) il latino è adatto tantoquanto il greco ad esprimere
le idee fi losofi che, (2) il lessico latino deve essere usato al
posto di quello greco tutte le volte che sia possibile, (3) le opere
artisticamente scritte in greco possono essere tradotte al latino
di forma ugualmente artistica, e (4) non si deve tradurre parola per
parola (Pérez González 1999:60).
Bruni riprende anche
alcuni pensieri di San Gerolamo e incluso rifl ette certi aspetti
dell’estetica oraziana, oltre ad insistere sui tre requisiti
per una buona traduzione esposti prima di lui da Roger Bacon (ca.
1214-1292): la conoscenza della lingua di partenza, della lingua di
arrivo e della materia coinvolte nella traduzione. Però, più
che una semplice ripresa di qualche concezione antica, le idee di
Bruni rispetto alla traduzione – si può generalizzare
in una certa maniera – sono le idee che l’Umanesimo sta
sviluppando e sta esercitando in questo campo. Coluccio Salutati,
per esempio, scrivendo a Fra’ Giovanni Dominici (1357-1419),
propone un programma completo di rinnovo grammaticale, del tipo: evitare
i barbarismi (le parole non classiche), solecismi (errori sintattici),
neologismi ingiustifi cabili, ecc. (Percival 1999: 371), puntiche
coincidono con quelli che Bruni condannerà nel suo trattato
sulla traduzione. Comunque, oltre agli elementi linguistici, i quali
l’autore fi orentino enfatizza, c’è un insistenza
sugli aspetti retorici della traduzione. Ed è qui dove certamente
si incontra il più grande valore della teorizzazione bruniana
e la base delle fondamenta della moderna traduzione letteraria. C’è
nel trattato un’esigenza della riproduzione dell’arte
letteraria per la ‘corretta traduzione’, la quale è
possibile attraverso l’uso delle risorse offerte dalla retorica
e dall’oratoria, oltre che dalla conoscenza linguistica e fi
lologica di ambedue le lingue. Bruni procura una approssimazione o
recupero dei valori retorici classici – gli umanisti rinascentisti
credevano che i migliori autori dell’antichità classica
possedevano un insieme comune di precetti artistici, e che le loro
opere erano prodotti di una visione estetica unifi cata, marcata dalla
passione per chiarezza, verossimiglianza, equilibrio e controllo.
Il trattato bruniano
nella sua struttura fi sica presenta una media grandezza: può
essere stampato in una quindicina di pagine. Conta quattro parti:
un prologo e tre capitoli (il terzo incompiuto). Intanto, la sua struttura
logica rivela un’armatura più la boriosa, elaborata secondo
i modelli della retorica. Il testo
nell’insieme tende alla forma generale di un discorso:
il prologo (la giustifi cazione del trattato a partire dalla giustifi
cazione delle sue critiche ad una traduzione e della sua concezione
del tradurre) vale come esordio; il capitolo I (laconcezione e la
teorizzazione della traduzione), come la proposizione e la narrazione,
ossia introduzione e spiegazione del tema; il capitolo II (la rifl
essione sulle critiche), come spiegazione e argomentazione; e infi
ne il capitolo III (la tradizione della critica con
esempi di uomini dotti), che è rimasto incompleto, vale come
la refutazione o modus procedendi e l’epilogo.
Nel prologo, Bruni giustifica
le accuse del critico severo contro un certo traduttore dell’Ethica
Nicomachea, che avrebbe rovinato l’opera letteraria di Aristotele.
Per Bruni, la traduzione dei testi filosofici richiede più
di una semplice traduzione tecnica, comunemente intesa come ad uerbum
(letterale), o della stessa traduzione appena ad sententiam (del senso),
richiede una traduzione letteraria, con arte, che involva contenuto
e forma. L’autore delle critiche non crede di avere eccesso
perché quello che fece fu giudicare la traduzione, la torpidezza
letteraria del traduttore e non la sua persona. E affi nché
lo capiscano presenta di seguito la sua concezione della traduzione.
Il capitolo I è
indubbiamente il più importante del trattato bruniano rispetto
alla sua concezione e teorizzazione della traduzione. Nella prima
orazione presenta una defi nizione dell’arte del tradurre: quod
in altera lingua scriptum sit, id in alteram recte traducatur, “quello
che fu scritto in una lingua sia traslatato correttamente all’altra”.
È una concezione ermeneutica della traduzione, visto che suppone
un’interpretazione corretta dell’originale e, dirà
in seguito il suo autore, non solo in relazioneal contenuto ma anche
alla forma e allo stile di ciascuntesto e scrittore. La traduzione
è un’ “arte che esige talento”, ars, quae
peritiam fl agitat, “un’impresa grande e diffi cile”,
magna res ac diffi cilis, e al traduttore è richiesta una “formazione
tecnica e letteraria”, disciplina et litteris, “istruzione
e raffi namento”, doctum et elegantem. Questa concezione si
fonda grosso modo su quattro aspetti:
I. Conoscenza della
lingua di partenza o ‘comprensione’. Questa conoscenza,
che deve essere grande, esercitata, raffi nata, a tutti i livelli
e nei suoi meccanismi più peculiari, modismi, fi gure del linguaggio,
espressioni metaforiche del pensiero, ecc., si acquisisce attraverso
la lettura del le buone opere letterarie, sia della fi losofi a, che
della poesia, dell’oratoria e di tutti i generi. Conoscere la
lingua significa per Bruni non solo tutto ciò relativo alla
linguistica, stili e generi, ma anche la conoscenza della sua società
di origine, della sua cultura, storia e politica. Tutto questo si
inquadra bene dentro la metodologia degli studia huma nitatis (grammatica,
retorica, storia, poesia e fi losofi a morale), che si è arricchita
con le contribuzioni di metodi filo logici bizantini, e con nuove
prospettive di comprensione della storia – oltre che dalla proposta
di Petrarca di una nuova divisione della storia nei periodi antico,
medio e moderno, la quale è condivisa da Bruni. Questi rivela
una coscienza di periodizzazione nella storia culturale, nella quale
i periodi culturali sono periodi linguistici (Griffi ths et al. 1987:
11). Il traduttore deve contestualizzare con conoscenza l’opera
che traduceper capirla fi n dal suo ambiente di provenienza, e capirla
non solo nei suoi aspetti estrinsechi, ma anche in quelli intrinsechi,
come le caratteristiche e lo stile dell’autore, i tropi e le
fi gure utilizzate.
II.
Conoscenza della lingua di arrivo o ‘espressione’. Questo
è il secondo requisito fondamentale del traduttore. Non basta
conoscere la lingua di partenza e intendere l’opera che sarà
tradotta; è anche necessario dominare la lingua di arrivo con
tutto il suo repertorio di sfumature semantiche e di connotazioni
sinonimiche per fare un corretto e pieno uso di tutte le sue potenzialità,
esprimendo nella traduzione quello che c’era nell’originale.
Conoscere per esprimere. Il traduttore deve riprodurre nella traduzione
tanto il contenuto come la forma e lo stile dell’originale.
Traduzione è comunicazione.
III. Possesso e uso dell’orecchio
o ‘ritmo’ e ‘armonia’. Il terzo requisito
riguarda la comprensione e la riproduzione artistica dell’originale.
La conoscenza di ambedue le lingue associata al buon orecchio deve
offrire al traduttore la capacità di captare le bellezze artistiche
dell’originale perfi no nelle sue sfumature ritmiche e armoniche,
per poi riprodurle nella traduzione. Il ritmo può essere captato
dall’orecchio nella lettura attenta e rispettosa dei membri,
incisi e periodi dell’orazione (cola et commata et periodos…
observare). La buona conoscenza di ambedue le lingue include, infatti,
la prosodia. Traduzione è ritmo e testualizzazione. L’espressione
(riproduzione) è possibile solamente se prima avviene la compren-sione.
Questa concezione di Bruni fa eco al pensiero di Catone (234-149 a.
C.), in Ad Marcum fi lium (Frag. 371), presente anche nella Ars poetica
di Orazio (vv. 40- 41; 310-311): rem tene, uerba sequentur, “domina
il contenuto e le parole lo seguiranno”. Anche se per Orazio
può signifi care la supremazia del contenuto sull’espressione:
la conoscenza determina il contenuto, che determina l’espressione.
Nella stessa direzione di Bruni sembra condurre la raccomandazione
di Coluccio Salutati (carta XXIII) a un amico affi nché in
una traduzione consideri le cose e
non solo le parole: res uelim, non uerba consideres.
IV. La riproduzione
dello stile. Con i requisiti appena menzionati, il traduttore dovrà
fare una imitatio dello stile personale dell’autore tradotto.
L’imitatio che propone Bruni è analoga a quella della
pittura. La comparazione tra la pittura e la poesia è classica
(Vt pictura poesis, “la poesia è(?) come la pittura”,
in Orazio, Ars poetica, v. 361): oltre ad essere stata utilizzata
da Orazio alcune volte, appare frequentemente nella Poetica di Aristotele.
Il traduttore nel suo compito si converterà in coautore dell’originale,
esprimendo come il poeta, lo scultore e il pittore la figura, il gesto,
il movimento, il colore e tutte le sfumature del discorso. Adattandosi
a ciascuna traduzione, emulerà lo stile di ciascun autore,
conservando le proprietà del suo linguaggio, la bellezza del
discorso e l’aspetto del testo originale, con tutti i suoi adorni.
L’adorno consiste di fi gure di dizione (strutture ritmiche)
edi pensiero. Traduzione è retorica e arte. L’infl uenza
di questo trattato di Bruni sul pensiero rinascimentale circa la traduzione
si fa vedere subito dopo il suo sorgimento, come in Giannozzo Manetti
(1396- 1459), che nel suo Apologeticus (1456/59) lo trascrive in parte
quasi letteralmente, anche se senza menzionarlo. Le principali rifl
essioni del XVI secolo sulla traduzione, in Eugli stessi punti trattati
da Bruni. E in questi testi rinascimentali, si può percepire
che la traduzione da un lato prosegue nel suo vecchio lavoro di trasmissione
del contenuto dell’originale ma, dall’altro, comincia
il suo moderno voler competire com l’originale, facendo attenzione
soprattuto all’estetica del testo tradotto nella lingua d’arrivo,
dell’applicazione della retorica nella scrittura, della produzione
dell’opera d’arte. Il riconoscimento di che le teorie
contemporanee della traduzione si basano nel Rinascimento richiede
un costante ritorno a quei testi fondazionali che, anche se di lunga
data, non perdono incanto e valore.