Una despedida

Flora de Paoli

Il mio primo contatto con Dona Gina è stato durante il corso di laurea.
Un periodo ingenuo, pieno di fantasie e di speranze, quando la Facoltà
di Lettere era ancora nel vecchio edifi cio dell’Avenida Chile.

Fin da questo incontro, la prima donna dell’italiano in Brasile – l’ho
sempre chiamata così – ha impressionato tutti. A quell’epoca, la
prof.ssa Helena Parente Cunha, che era stata sua studentessa, era Preside
della Facoltà e aveva contribuito a far la fama di questa docente italo- bahiana, che in una conferenza magistrale aveva suscitato il nostro
entusiasmo per la cultura italiana: e tutta la platea si era perdutamente
appassionata per Dante.

La presenza di Dona Gina al teatro Gil Vicente, fu certamente un avvenimento. Era la prima volta che avevamo sentito parlare dell’Istituto Italiano di Cultura di Rio de Janeiro, reponsabile per la divulgazione e la diffusione della cultura italiana nella nostra città. Dona Gina, che non aveva peli sulla lingua, ci ha detto che quell’Istituto doveva concedere borse di studio agli studenti. Bastò un accenno alle borse per scatenare una discussione accesissima che portò la maggioranza di quel gruppo di studenti a una specie di militanza nell’ italianistica in Brasile.

L’intenzione di Dona Gina era, tramite quel dibattito così animato,
di lanciare il seme per la creazione, un po’ più tardi, dell’Associazione dei
Professori Brasiliani d’Italiano- ABPI. Sottolineava sempre, Dona Gina, che
si trattava di un’associazione di professori brasiliani d’italiano, un fatto che noi – allora giovani docenti – non avremmo mai dovuto perdere di vista,
nella carriera che stavamo per intraprendere.

Questo primo contatto con Dona Gina ha avuto per me un carattere in
un certo senso profetico, poiché allora non avevo la benché minima pretesa
di occuparmi dell’insegnamento dell’italiano. Ero, al contrario, convinta
che la mia scelta sarebbe ricaduta sull’insegnamento della lingua portoghese
e della letteratura brasiliana.Ma lei mi ha guardato e ha detto: “Ci ritroveremo, in futuro, e sicuramente ci occuperemo nuovamente dell’insegnamento dell’italiano, principalmente, della letteratura italiana. Una calabrese come te non riuscirà a rimanere distante dall’Italia.”

Nonostante la veemenza delle parole premonitorie di Dona Gina, non
ho creduto molto a quella possibilità. Ma ecco che, nel 1977, dopo aver
avuto il mio secondo fi glio, fui invitata a dare lezioni d’italiano nella Facoltà
di Lettere. E così ho cominciato un lungo cammino – che adesso già
ammonta a 25 anni! – lungo il quale la presenza di Dona Gina è stato un
costante stimolo, costellato dall’ appoggio da lei dato a tutti i miei passi
e un contributo signifi cativo a tutta la mia formazione: inizialmente tramite
conferenze e comunicazioni nel corso della mia specializzazione in
italiano e poi interi corsi, impartiti nell’ambito del dottorato in lingua
e letteratura italiana della UFRJ, fi no ad oggi l’unico in Brasile.

In tutto questo percorso e nel corso dei vari viaggi che ho intrapreso
in Italia, Dona Gina è stata sempre presente, pur sapendo delle mie dif-
fi coltà di sentirmi isolata, lontana dalla famiglia. Ed allora mi chiamava
o veniva a Siena o Perugia per il week-end o anche per passare un
unico giorno, perché io mi sentissi a mio agio. Questi incontri non avevano
solamente l’obiettivo di dare un appoggio a un’amica, ma sopratutto,
di lavorare per la formazione di una giovane docente. Promuovere l’insegnamento dell’italiano in Brasile, patria che generosamente aveva accolto le nostre famiglie, entrambe di origine calabrese, e che ci aveva dato l’opportunità di lavorare.

L’entusiasmo di Dona Gina per il lavoro è stato certamente l’incentivo
maggiore: impegnata sempre a favore di cause diverse, mai mostrava
stanchezza o rassegnazione. Nei corsi intensivi che dava a Rio de Janeiro,
reagiva alla nostra stanchezza o abbattimento a causa delle lunghe
ore di studio: “Alzatevi e sciacquatevi il viso con dell’acqua, camminate
lungo i corridoi, fate qualche fl essione e tornate subito, perché non
abbiamo ancora fi nito”. In questo periodo, le lezioni duravano tutto il
giorno. Dopo, c’era ancora spazio per fare un salto all’Istituto Italiano
e risolvere problemi burocratici, cenare rapidamente e andare al cinema
o a teatro. Ce lo diceva sempre che non valevamo: se non riuscivamo
neanche a seguirla in questo suo continuo peregrinare!

Potrei continuare a parlare senza fi ne dell’importanza della presenza
della Dona Gina nella mia vita professionale e privata, ma preferisco
ricordare la sua ultima visita qui a Rio, occasione in cui ha ricevuto
dal Consolato una commenda per gli innumerevoli servizi che ha
prestato all’Italia. Dopo la cerimonia della consegna del premio lei
mi chiede. “E allora, quando cairemos na gandaia? Quand’è che ce la
spassiamo?” Era questa l’espressione che usava quando ci incontravamo a
Rio, a Salvador e in Italia. Era sempre pronta a fare un giro, andare al cinema o a teatro o a un nuovo ristorante. A proposito: i ristoranti nei quali mi portava a Bahia e in Italia erano sempre deliziosi. E in questa sua ultima
visita a Rio come al solito la gandaia è cominciata con una visita alla nuova
fi liale della Confeitaria Colombo, a Copacabana, con tutto quel mare
intorno. In quel momento non me n’ero accorta: si trattava di un ultimo
saluto, una despedida. Era tutta entusiasta dalla possibilità di realizzare
il Congresso dell’ABPI a Foz de Iguaçu, ma per la prima volta disse
che forse non sarebbe stata presente. Riferendosi all’ABPI, come sempre,
ha fatto una valutazione dei colleghi più vicini, preoccupata con il futuro
dell’Associazione e ha ricordato l’arrivo della sua famiglia in Brasile, la
lunga traiettoria percorsa e il grande cammino che abbiamo ancora
da percorrere e ha fatto una serie di raccomandazioni e, per chiudere la
serata, siamo andate al teatro Glória, dove ci aspettava la collega Maria
Lizete. È stata l’utlima volta che abbiamo avuto la possibilità di darle un
abbraccio. E l’abbiamo lasciata a casa di sua fi glia Elisa, a Leblon. Pur essendo passata la mezzanotte, Dona Gina aveva ancora energie da spendere, quando ci siamo salutate.

La nostra grande amicizia ha come chiusura questo até-logo, un arrivederci
che ci siamo scambiate rapidamente ai prodromi dell’alba di Rio de Janeiro. Ed in quell’occasione avevamo fatto dei piani di vederci a Bahia per andare a Itaparica e poi a Foz de Iguaçu per l’XI Congresso della nostra Associazione. E qual è stata la mia delusione, quando ho saputo al mio arrivo a Foz que Dona Gina era stata internata la sera prima a Salvador. Mi sono ricordata della nostra chiacchierata là a Copabacana, davanti a tutto quel mare, del tono di despedida che aveva preso piede allora e di quello che lei stessa diceva: “la morte non è la fi ne, è sempre un nuovo inizio”. Adesso non mi resta che mostrare che ho veramente imparato la lezione. Pronuncio un breve até-logo, mi rimbocco le maniche e ritorno al lavoro. Poiché la strada è
lunga. E la vita ci aspetta.


 


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Mosaico Italiano #22

Gina Galeffi, il sorriso e la pazienxa di Bahia
(Mimmo Liguoro)

Una despedida
(Flora de Paoli)

Ritratto di Gina Magnavita
(Sergio Campailla)

Essere con Gina continuare con Gina
(Mauro Porru)

Coccodrillo
per Gina Galeffi
(Meri Lao)

Un legame intimo
(Andrea Lombardi)


Ricordo di Gina
(Loredana de Stauber Caprara)

In Brasile, l'Italia e la "poesia" di una vita
(Francesco Marroni)