L'Istituto Italiano di Cultura di Rio de Janeiro in Rete

Amelia Sparano

Rio de Janeiro ha subito e vanta profonde trasformazioni negli ultimi due secoli. Nel 1804 era la modesta capitale di una colonia. Nel 1808, residenza del fuggitivo Don João VI , divenne capitale del Regno Unito Portogallo Brasile. Nel 1822 Don Pedro I la elevó a capitale dell’Impero. Nel 1889, deposto Don Pedro II, Deodoro da Fonseca la proclamó capitale della Repubblica Federativa del Brasile sino al 1960: dimessa da Brasilia, fu ridotta a capitale della Guanabara, poi annessa Niterói, capitale dello stato di Rio de Janeiro. Oggi é la seconda cittá brasiliana dopo San Paolo. Entrambe megalopoli, riunenti vari municipi. Purtroppo considerate violente e pericolose. Ma Rio continua capitale del Carnevale. E per la natura che la incornicia, una delle piú belle cittá del mondo.
Don João VI le donó il Giardino Botanico, e il parco e il palazzo della “Boa Vista” (Bella Vista) sua residenza altosituata e distante dal pantano che bagnava il centro dela città. Apri i porti: a Rio il molo Pharoux, dove ora attraccano i traghetti Rio-Niterói e allora i velieri, poi i primi vapori, nuovi mezzi di trasporto che facilitarono l’immigrazione in massa. Ma Rio era ancora la città maledetta, foco dela febbre gialla. I nuovi arrivati fuggivano, verso i monti vicini o verso San Paolo.
Alla prima imperatrice Donna Leopoldina dobbiamo la Foresta dela Tijuca. Sostituendo una esaurita fattoria di caffé fece piantare vegetazione nativa e cosi creó l’única foresta nel cuore di una cittá. E ricca di flora e fauna tropicali.
Don Pedro II modernizzó il Brasile: pavimentó vie, aprí la strada Unione e Industria, e inauguró ferrovie. Eresse soleni caseggiati, fra i quali l’asilo dei pazzi. Adesso aule e Rettoria dell’Universitá Federale di Rio de Janeiro.
Ma solo la Republica risanó la cittá. Nel 1902, Presidente Rodrigues Alves, il prefetto Pereira Passos bonificou il pantano. Eliminando un vivaio di zanzare facilitó il debellamento della febbre gialla, gloria di Oswaldo Cruz. L’ingegnere Paulo de Frontin canalizzó l’acqua. E aiutó il prefetto ad aprire il corso centrale, (oggi avenida Rio Branco). E a costruire palazzi nello stile francese dell’epoca: l’Accademia Brasiliana di Lettere (Petit Trianon), il Teatro Municipal, la Biblioteca Nazionale, il Museu di Belle Arti, creando un centro culturale.Tuttavia Pereira Passos fu chiamato il ‘Butta Giú’ (Bota Abaixo) per aver demolito le bicocche e in riva al pantano. Non indennizzó gli occupanti, che corsero a costruire baracche sui colli. Imitarono gli scampati dalla strage di Canudos che nel “Morro da Providencia” improvvisarono capanne e le chiamarono “favelas”, nome di un albero del nordest dalla accogliente vasta chioma. Rio de Janeiro divenne, e permane, un’immensa “Casa Grande e Senzala” (abituri degli schiavi). Cittá Meravigliosa: per chi ha soldi.
Risanata, Rio attiró imigrati e poveri nordestini. Si estese. Al nord e all’ovest e orti e zagare diventarono fabbriche e caseggiati suburbani. Nel nobile sud, il traforo Alaor Prata (Túnel Velho), diede accesso alla spiaggia chiamata Copacabana. Nome della Madonna donata dai pescatori del lago Titicaca ai pescatori di Rio: nome di origine Inca, appropriato, significa ‘miranta dell’azzurro’. Sperto il traforo, sorsero palazzine e subito i Guinie inaugurarono il Copacabana Palace, copiando i lussuosi alberghi della Costa Azzurra. Per cortesia della ‘Light’ nelle notti di gala del Teatro Municipal i tram circovano ‘com le mutande’: coi sedili coperti di stofa bianca, per riguardo agli abiti da sera delle signore.
Presto la spiaggia fu invasa da ville e palazzine. aperto il Tunel Novo, sorsero innumerevoli caseggiati di tredici piani, sostituendo ville, giardini e casette, come per bacchetta magica. E gli abitanti si moltiplicarono. Fenomeno dilagante. La cittá si estese. Nuovi trafori icorporarono San Corrado e La Barra da Tijuca. Ora giá invasi grattaceli: meta della classe emergente. Spariti i tram, autobus e macchine congestionano tutte le vie. Convenne aprire arterie dirette: “Linha Vermelha e Linha Amarela” (rossa e gialla), per sgravare Botafogo e Copacabana. Ora il Metropolitano, sotterraneo, permette rapidi spostamenti individuali.
Copacabana, cittá nella cittá, allontanato il mare artificialmente, ha guadagnato una vasta Avenida Atlântica e un’immensa spiaggia. Le onde si frangono sulla spiaggia, non piú bianca come lo zucchero, rovente come un deserto.
Sterrando si ottennero spazi. Nel 1921, lo spianamento del ‘Morro do Castelo’ ventiló il centro di Rio, e forní terra per l’aeroporto Santos Dumont.
L’opera pubblica piú importante é quella del Flamengo. Carlos Lacerda, político discutibile, amministratore geniale, oltre il miracoloso canale del Guandu, che garantisce acqua potabile a tutta la cittá, ha creato un parco in riva al mare, palestra gratuita per il popolo, autostrada diretta che accelera il traffico e descongestiona vie. Anche in “Túnel Rebouças” sotto al Corcovado, avvicina opposti rioni. Se Lacerda non avesse appoggiato il colpo di stato militare, che lo tradí, forsi, eletto, sarebbe stato un grande presidente.
Rio non smette di crescere, immenso gregge di cemento ai piedi del Pastore, che dalla vetta del Corcovado apre le bracia, tacito sermone di pace e amore. La statua sulenne giunse dalla Francia in tre pezzi e fu montata lassú. Negli anni trenta lo scenziato Guglielmo Marconi accese per radio i rifflettori. Ci diede la visione radiosa del Cristo Redentore, che sembra proteggere le notti violente di Rio. E promettere un avvenire migliore alla Cittá Meravigliosa, cuore del mio Brasile.


 

 


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