PETRARCA ED IL PETRARCHISMO

Franco Vicenzotti

Harold Bloom nel suo “Western Canon” afferma che la civiltà occidentale raggiunge la sua massima espressione nella Divina Commedia di Dante Alighieri in cui l’uomo ed il suo destino è già tutto compreso.
Mentre Cervantes con il suo “Don Quijote” avrebbe raggiunto il vertice più alto della capacità narrativa, mai più eguagliata nè da Tolstoj, Dostojevsky, Flaubert, Balzac, Trollope – forse avvicinata soltando da Charles Dickens – William Shakespeare sarebbe il Maestro ineguagliato nel tratteggiare la psicologia umana in tutte le sue variegate espressioni ed emozioni ed ogni aspetto dell’umana avventura, sublime, comica o tragica.
Se sostanzialmente tutti concordano con quanto affermato da Bloom una precisazione importante s’impone: la moderna poesia europea non nasce ad imitazione del modello dantesco – l’unico tentativo, altissimo di ispirarsi al sommo poeta fu quello di John Milton, con il suo “Paradise Lost” – ma per influenza e ad imitazione della produzione poetica del Petrarca: la “Pleiade” francese – Du Bellay, Pierre Ronsard, ecc., che con François Villon rinnovano la tradizione poetica francese – si ispirano direttamente, a volte dichiaratamente al Canzoniere del Petrarca; Du Bellay, dimorò quattro anni a Roma presso un parente Cardinale e da questo soggiorno fu ispirato a scrivere i Rimpianti (Regrets) ispirati da una suggestiva tristezza e versi amorosi di un voluttuoso petrarchismo; lo stesso dicasi per il Rinascimento inglese che vede nella prima metà del 500, trionfare il sonetto petrarchesco attraverso l’opera di Thomas Wyatt e del Conte di Surrey che imitano soprattutto il Bembo autore de “Gli Asolani”, studioso dei problemi della lingua italiana ed epigono del Petrarca. In seguito peraltro, sarà G. B. Marino con il suo famoso “Adone” il nostro poeta di maggiore influenza sulla produzione poetica inglese.
La nuova poesia spagnola ugualmente si rinnova con Juan Boscàn e Garcilazo de la Vega che procedono alla modernizzazione della poesia iberica ispirandosi non solo a Bembo e Tansillo ma soprattutto al Petrarca.
Insomma: non Dante Alighieri è il padre della poesia europea ma Francesco Petrarca, forse perché alla figura europea dell’”italianisant” o ”italianate” dell’intellettuale cioè che non poteva non ispirarsi alla cultura italiana umanistica del ‘300 e del ‘400 riusciva indubbiamente più facile e gradevole il Canzoniere petrarchesco con le sue delicate emozioni piuttosto che la Divina Commedia che con la sua simbologia, a volte oscura, con i suoi costanti riferimenti a precisi avvenimenti e personaggi della storia italiana, spesso non noti a livello europeo, la rendeva di più difficile comprensione o forse semplicemente perché ci si rendeva conto che la vetta poetica raggiunta da Dante Alighieri sarebbe stata insuperabile: non valeva neanche la pena cercare di misurarsi con un modello tanto superiore pena l’indubbio fallimento.
Gli unici due esempi, peraltro parziali di ispirazione dantesca furono il già menzionato “Paradise Lost” (1667) di John Milton che è un poema epico in dodici libri, opera la cui austerità d’ispirazione, proveniente dalla Bibbia si combina con la solennità del verso, il blank verse, corrispondente al nostro endecasillabo sciolto, che Milton aveva trovato usato dal Tasso, riuscendo a darci un poema che rappresenta forse il punto d’arrivo dei tentativi di poemi eroici cristiani. Il secondo poeta che ancor più direttamente di Milton s’ispira alla Divina Commedia con il raffinato poema “Cantos” è, nel ‘900, Ezra Pound, ingiustamente dimenticato per le radicali posizioni politiche fasciste dell’autore che le pagò con anni di carcere.

Come si è visto è attraverso i poeti della Pleiade, soprattutto Du Bellay e Ronsard, che il petrarchismo diventerà la moda poetica europea per eccellenza prima in Francia poi in Inghilterra e in Spagna.
Du Bellay oltre ai Regrets pubblica nel 1550 “L’olive” una raccolta di centoquindici sonetti squisitamente petrarcheschi: bisogna cantare le bellezze della propria “amata”?
Ecco allora una serie di paragoni con i metalli preziosi, gli astri e le divinità che trionfa in Du Bellay.
Bisogna tradurre l’ardente passione del poeta?
Viene ferito da una freccia assassina; è prigioniero; non c’è in tutta la mitologia vittima più torturata di questo povero amante eternamente fedele.

Alla fine, peraltro, lo stesso Du Bellay si ribella agli eccessi della delicatezza petrarchesca e scrive un piacevole poema satirico “contre le petrarchisme”.
In ogni caso colui tra i francesi che più contribuirà per la sua grandezza di poeta per la sua finezza d’invenzione, per la sua delicatezza di sentimenti a diffondere il petrarchismo in Europa sarà Pierre de Ronsard.
Poeta laureato, poeta di Corte, in quanto amico personale di Enrico II, s’impone prima con le “Odi” ispirate a Pindaro e alla sua infanzia epicurea nella “Vendôme” poi con i sonetti petrarcheschi degli “Amours de Cassandre” 1552 (Cassandra Salviati di cui si era follemente innamorato).
La maniera petrarchesca lo impose definitivamente tra i grandi poeti europei per cui il Nostro seguirà questo stile con l’ulteriore antologia “Sonnets pour Helène” in cui Ronsard raggiunge il più alto livello delle sue capacità espressive nello stile petrarchesco.
Per evidenziare quanto i suoi canoni espressivi siano simili a quelli del Petrarca sarà opportuno ricordare almeno uno di questi sonetti:
QUAND VOUS SERES BIEN VIEILLE…
Quand vous serez bien vieille, au soir, à la chandelle,
Assise auprès du feu, dévidant et filant,
Direz, chantant mes vers, en vous émerveillant:
“Ronsard me célebrait du temps que j’étais belle”

Lors, vous n’aurez servante oyant telle nouvelle,
Déjà sous le labeur à demi sommeillant,
Qui au bruit de Ronsard ne s’aille réveillant,
Bénissant votre nom de louange immortelle.

Je serai sous la terre, et, fantôme sans os,
Par les ombres myrteux je prendrai mon repos:
Vous serez au foyer une vieille accroupie,

Regrettant mon amour et votre fier dédain.
Vivez, si m’en croyez, n’attendez à demain:
Cueillez dès aujourd’hui les roses de la vie.

Che ad ogni buon conto riproduciamo nella splendida traduzione di Mario Praz.

Quando Vecchia sarete, la sera, alla candela,
seduta presso il fuoco, dipanando e filando,
ricanterete le mie poesie, meravigliando:
Ronsard mi celebrava al tempo ch’ero bella.

Serva allor non avrete ch’ascolti tal novella,
vinta dalla fatica già mezzo sonnecchiando,
ch’al suono del mio nome non apra gli occhi alquanto,
e lodi il vostro nome ch’ebbe sì buona stella.

Io sarò sotto terra, spirto tra ignudi spirti,
prenderò il mio riposo sotto l’ombre dei mirti.
Voi presso il focolare una vecchia ineurvita,

l’amor mio e ‘l fiero sprezzo vostro rimpiangerete,
Vivete, date ascolto, diman non attendete:
cogliete fin da oggi le rose della vita.

A questo punto possiamo tirare la somma di questa breve analisi sulla “Fortuna di Petrarca in Europa” citando il già menzionato Harold Bloom.
Nel suo “The Western Canon” (ed. Riverhead Books, New York – 1994), a pag. 97, il grande critico afferma:

That Dante was a greater poet than Laura’s victim, Petrarch doubtless recognized; but of the two it is Petrarch who has been even more influential on later poets. Dante vanished until the nineteenth century; he was scarcely esteemed during the Renaissance and the Enlightenment. Petrarch took his place, thus fulfilling his shrewd program of embracing poetic idolatry or inventing the lyric poem. Dante died when Petrarch was seventeen, in 1321. When Petrarch, about 1349, prepared the first version of his sonnets, he seems to have known that he was inaugurating a mode that transcended the sonnet form, and that shows no signs of waning six and a half centuries later.

 


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