Professori di Siena a 
            Rio: un tuffo nell'italiano contemporaneo
          Cristiana Cocco Carvalho
          
Gradito 
            e appropriato sono i termini che possono essere attribuiti al I Simpósio 
            de Estudos Lingüísticos do Italiano, organizzato dalla 
            Facoltà di Lettere della UFRJ e dall'Istituto Italiano di Cultura 
            di Rio de Janeiro tra i giorni 30 marzo e 1o aprile scorsi.
            Gradito perché per noi, docenti di Lingua e Letteratura Italiana 
            all'estero, accogliamo sempre con entusiasmo e partecipazione la venuta 
            di nostri colleghi dalla Madre Patria. Questa volta l'evento è 
            stato ancor più interessante, visto che gli invitati dall'Italia 
            erano più che illustri: il Rettore dell'Università per 
            Stranieri di Siena, Prof. Pietro Trifone, la Prof.ssa Laura Ricci 
            e la Prof.ssa Paola Micheli.
            Presenti moltissimi allievi e rappresentanti delle maggiori università 
            ove l'insegnamento di Lingua e Letteratura italiana e forte come, 
            oltre al corpo docente del Dipartimento di Italiano della UFRJ, professori 
            e allievi della UERJ, UFJF, UFF, UFBA, UFES, USP e UNESP.
            Lo scambio di conoscenze e idee, inoltre, è più che 
            appropriato in un momento in cui le distanze tra i nostri due Paesi 
            di accorciano grazie a Internet, ma non per questo facilitano - anzi, 
            come vedremo possono addirittura confondere - un aggiornamento continuato 
            dei nostri quadri docenti. Le rare volte che Università Italiane 
            si fanno presenti con corsi per noi docenti è sempre nell'ambito 
            della Legge 153, spesso in epoche poco congeniali del periodo scolastico 
            e per periodi molto lunghi, cosa che rende impossibile la frequenza 
            continua.
            Quindi, benvenuto al I Simpósio, egregiamente organizzato, 
            breve, ma ricco di vecchie e nuove tematiche interessanti per tutti 
            noi, docenti e discenti.
            I temi scelti dal Prof. Trifone e dalle sue colleghe, infatti, si 
            rifanno a tutto ciò che riguarda il processo di insegnamento-apprendimento 
            dell'italiano contemporaneo, senza però tralasciare anche uno 
            sguardo a ciò che storicamente hanno significato questi topoi 
            nei tempi.
            La conferenza tenuta dal Prof. Trifone il primo giorno del simposio 
            - nell'Auditorium della Facoltà di Lettere della UFRJ - aveva 
            per titolo "Tendenze dell'italiano contemporaneo". Grazie 
            ad un linguaggio accessibile e ad una spiccata simpatia, Trifone - 
            anzi Pietro, come ha tenuto subito a chiarire, segnando così 
            l'inizio del discorso sulla sempre più rara formalità 
            anche in contesti ove una volta era prassi dare del Lei ai professori 
            - ha stilato le caratteristiche più marcanti dell'italiano 
            parlato e scritto oggi in Italia. Tra i vari punti, possiamo ricordare 
            la tendenza ormai più che assodata del nuovo equilibrio che 
            si è creato tra la lingua scritta e quella parlata, ove quest'ultima 
            si prende la rivincita dopo secoli di dominio della prima. Qualcuno 
            poteva anche storcere il naso a questo punto, ma Trifone ha voluto 
            subito chiarire: noi linguisti non stiamo qui per giudicare, ma per 
            analizzare quali sono i fenomeni della nostra lingua. 
            Se il parlato ormai invade i media e, di conseguenza, il nostro linguaggio 
            di tutti i giorni, questo è un fenomeno 'contro' il quale non 
            possiamo fare niente, ma 'attraverso il quale' dobbiamo, come docenti, 
            agire per far capire ai nostri allievi che la lingua non è 
            un qualcosa di statico e che il cosiddetto italiano standard esiste 
            sì, ma che esistono anche altre forme influenzate dalla modernizzazione 
            della lingua. 
            Per dimostrare l'accettazione del parlato nello scritto anche da parte 
            di organi considerati conservatori, uno degli esempi fatti durante 
            la conferenza ha reso perfettamente l'idea di come la lingua italiana 
            stia subendo mutazioni in direzione del parlato, verso uno stile meno 
            ricercato e più duttile, meno rigoroso: ad esempio, l'anticamente 
            considerato errore madornale da genitori e professori "a me mi 
            piace" è stato giustamente scelto dal quotidiano "Il 
            Sole 24 Ore" come titolo di una rubrica gastronomica, passando 
            quindi da forma dell'italiano colloquiale fortemente stigmatizzata 
            e censurata ad esempio della evidente compresenza di vari stili comunicativi 
            nell'italiano contemporaneo, anche scritto.
            A questo punto, di fronte a queste varietà, noi insegnanti 
            dobbiamo mostrarci consapevoli e, soprattutto, preparati a presentare 
            ai nostri allievi una realtà linguistica dove la coesistenza 
            di diversi registri dimostra il contrario di ciò che è 
            solitamente immaginato: che all'università si debba studiare 
            solo la lingua 'colta' o 'standard'. Invece no: Trifone afferma, insieme 
            alle sue colleghe - e mi associo a questa sua certezza - che anche 
            in un'università si deve mediare la conoscenza di vari registri 
            affinché i nostri discenti sappiano poi usarli a dovere quando 
            ne abbiano bisogno, anche per non creare situazioni del tipo "sono 
            andato in Italia e non capivo niente di quello che dicevano", 
            ormai famose tra noi. 
            Ricerche di Linguistica Applicata all'insegnamento di lingue straniere 
            tanto in Italia come in altri paesi, tra i quali il Brasile, indicano 
            che solo attraverso una competenza comunicativa completa, in cui l'allievo 
            si faccia portatore di una conoscenza linguistica ed extralinguistica, 
            si raggiunge il vero obiettivo dell'apprendimento di lingua e cultura 
            di un paese. Trifone ha aggiunto che una recente ricerca guidata dal 
            famoso linguista Tullio de Mauro insieme a docenti e ricercatori dell'Università 
            per Stranieri di Siena - Italiano 2000 - ha dimostrato che oggigiorno 
            chi studia la lingua italiana non lo fa più soltanto grazie 
            alla sua immagine di lingua di una grande cultura, ma grazie anche 
            al grande interesse suscitato dalla possibilità del suo uso 
            come lingua professionale: un allievo su quattro studia l'italiano 
            per motivi di lavoro. Per questo dobbiamo aggiornarci e rivedere i 
            nostri concetti di 'cosa' e 'come' insegnare ai nostri allievi, affiancando 
            agli studi canonici anche alcune vertenti che mettono in risalto le 
            diversità linguistiche esistenti oggi in Italia, come viene 
            già fatto da alcune università brasiliane.
            Riallacciandoci quindi alla realtà della nostra lingua, Trifone 
            in seguito ha parlato degli anglicismi presenti ormai in quantità 
            pazzesche anche nei nostri dizionari (lo Zingarelli porta il 4% di 
            voci straniere...) e della sorprendente resistenza dei dialetti che, 
            se negli anni '70 si immaginava fossero votati alla scomparsa, hanno 
            invece resistito, e malgrado oggigiorno presentino caratteristiche 
            diverse da quelli di una volta, probabilmente dovute alla capillare 
            diffusione dell'italiano standard, sono ancora di largo uso nella 
            loro accezione di dialetti regionali. 
            Per quanto riguarda l'inglese nell'italiano, molte delle persone presenti 
            hanno dichiarato non capire quasi più l'italiano parlato in 
            televisione o pubblicato sui giornali, dovuto all'invasione di termini 
            inglesi. Qui il professore ci ha offerto un'allettante alternativa 
            alla più facile accusa di ingerenza della cultura americana 
            sulla nostra. Usando un esempio pubblicato sul libro Piccolo libro 
            sulla globalizzazione e sul mondo che verrà, di Alessandro 
            Baricco, Trifone dà voce all'autore che racconta di aver visto 
            una coppia di sposini che, al momento di fare il filmino del matrimonio, 
            su una spiaggia bellissima del litorale calabro, vedendo una barchetta 
            ci sale su e imita la famosa scena del film Titanic, quando la protagonista 
            femminile allarga le braccia sorretta alle spalle dal suo compagno. 
            Tutto questo starebbe soltanto ad indicare una fortissima influenza 
            della cultura nord americana, se non fosse per un dettaglio: ad un 
            certo punto, i due sposini si mettono a parlare, e lo fanno in uno... 
            strettissimo dialetto calabrese! Chi esce vincitore da questa scena? 
            La cultura americana o quella dialettale calabra? Sicuramente la seconda, 
            dice Trifone, e mi associo: facendo propria la cultura dell'altro 
            la si trasforma in qualcosa d'altro, con un significato diverso. È 
            la nitida reazione alla globalizzazione della cultura di massa.
            La questione interessante rilevata dal Prof. Trifone quindi è 
            proprio se questo uso dell'inglese caratterizza una colonizzazione 
            dell'italiano, pertanto un aspetto altamente negativo della globalizzazione, 
            oppure è un tentativo di ridicolizzare la lingua anglo-americana, 
            usandola, o come diremmo noi qui in Brasile rifacendoci al movimento 
            antropofagico, divorandola? Questo punto di vista ci ha aperto gli 
            occhi sulla possibilità di vedere questa apparente invasione 
            come una demistificazione, una sdrammatizzazione della tendenza mondiale, 
            e quindi anche italiana, dell'uso della lingua inglese, ormai veicolare 
            in vari campi del sapere. Perciò l'uso di know-how, pizza house, 
            pizza center, welfare, devolution, stock, chat, band ecc. non sarebbero 
            altro che un tentativo di inglobare termini ormai usati da tutto il 
            mondo occidentale, ponendo la parola 'fine' ad eccessivi campanilismo 
            di linguisti conservatori e puristi.
            Per quanto riguarda invece la questione dei dialetti, ormai anche 
            in Internet si possono veder chattare ragazzi che parlano in dialetto, 
            quindi è una varietà diatopica che è entrata 
            anche nell'uso telematico della lingua ed è quindi votata a 
            rimanere tra noi e a non soccombere all'universalizzazione dell'italiano 
            standard, quanto piuttosto ad infuenzarlo, arricchendolo di termini 
            altrimenti usati soltanto in contesti familiari o gergali. Citando 
            Trifone:
          "La rete è 
            un coacervo di realtà contraddittorie, di nicchie di contestazione 
            al credo della globalizzazione. Nelle chat si manifesta un anarchismo 
            linguistico non visto altrove: vi si usano i walls, muri virtuali 
            con frasi usate dai tifosi, ove si sente un forte campanilismo, un 
            massiccio uso del dialetto. Forse anche questa può essere considerata 
            una forma di contestazione contro l'appiattimento globale."
          Concludendo, il Prof. 
            Trifone ha rilevato - anche grazie ai numerosi interventi avuti nel 
            dibattito alla fine della conferenza - la difficoltà che noi 
            italiani residenti all'estero affrontiamo, visto che siamo esposti 
            a diversi stili comunicativi, specialmente quando pensiamo alla stampa 
            e alla tv, fatto questo che causa una mancanza di modelli linguistici 
            in cui rispecchiarci. Per noi docenti la cosa si fa ancor più 
            problematica, visto che dobbiamo intermediare una lingua in continua 
            evoluzione e non abbiamo mezzi per poterla mantenere sempre aggiornata. 
            Per questo, ha affermato, la scuola e i centri universitari sono importanti: 
            attraverso di essi si può stimolare la conoscenza di tutti 
            gli stili linguistici di cui si ha bisogno per conseguire una padronanza 
            piena sulla lingua.
          
            E, aggiungiamo noi professori, le nostre università potrebbero 
            e dovrebbero essere centri di interscambio continuato tra docenti 
            dei due paesi di conoscenze umanistiche. Ciò che si è 
            invece osservato dalle recenti politiche culturali difese dall'attuale 
            governo italiano è che esse punterebbero su un sapere tecnologico 
            invece che umanistico. È proprio questo uno dei temi che, a 
            conferenza ultimata, è stato poi dibattuto insieme ai professori 
            presenti che hanno rilevato il completo disinteresse da parte degli 
            organi competenti italiani che porta alla totale mancanza di una politica 
            di difesa dell'identità culturale italiana all'estero. Il Prof. 
            Trifone ha aggiunto che questa osservazione porta alla conclusione 
            che l'Italia semberebbe non aver ancora deciso se vuole o no diventare 
            un paese di cultura, una potenza culturale. Secondo lui, o si fa qualcosa, 
            o si rimarrà l'italietta della pizza, della mafia e della canzonetta.
          
            Dopo la conferenza del Prof. Trifone abbiamo assistito a quella della 
            Prof.ssa Laura Ricci sempre dell'Università per Stranieri di 
            Siena, che aveva per titolo "Tipi di testo e tecniche di scrittura", 
            che si è dimostrata essere un'efficiente lezione tenuta specialmente 
            per gli allievi universitari presenti nell'auditorium. Didattica e 
            precisa, la Prof.ssa Ricci ha esplicato le differenze stilistiche 
            tra testi informativi, descrittivi, narrativi e argomentativi, attraverso 
            esempi molto chiari e accessibili, ponendo un accento anche lei sulle 
            trasformazioni linguistiche che si manifestano nei testi attuali.
            Il 31 marzo il Prof. Trifone ha tenuto un'altra conferenza dal titolo 
            "L'italiano di oggi tra grammatica e uso della lingua", 
            davanti ad una platea piena di allievi, il che dimostra l'estremo 
            interesse da parte dei discenti su questo tipo di argomenti.
            Trifone ha spiegato che la sintassi della lingua italiana diventa 
            sempre più semplice. Tende a diventare più lineare, 
            moderna, semplice, e che la pronuncia si adegua sempre di più 
            alla scrittura, con una conseguente aderenza della prima all'ultima. 
            Oggigiorno, anche pronuncie una volta considerate 'sbagliate' come 
            l'uso di 'o' aperte o chiuse in determinati vocaboli, sono ormai tollerate, 
            specialmente se chi sta parlando è un nostro allievo straniero. 
            
            Per quanto riguarda l'insegnamento e lo studio della grammatica, mentre 
            negli anni '80 e '90 c'era stato una specie di rigetto dell'ingerenza 
            grammaticale nell'insegnamento dell'italiano come lingua straniera 
            - e anche come lingua materna - oggi, a causa dell'esigenza di un'educazione 
            linguistica più completa che comprenda le varietà linguistiche 
            esistenti, è in atto la rivalutazione della grammatica, rinnovata 
            stante le strategie testuali, come uno degli strumenti per la comprensione 
            di queste diversità. Infatti, la conoscenza della grammatica 
            evita costruzioni pidginizzate, approssimative e interferite. Se pensiamo 
            poi ad uno straniero che studia la nostra lingua ci rendiamo conto 
            come la mescolanza di forme linguistiche e la grande varietà 
            di forme che si sovrappongono - di cui Trifone aveva già parlato 
            il giorno prima - può lasciare disorientato il nostro utente 
            medio. 
            Comunque, ciò che si sta osservando e che può interessarci 
            come insegnanti è la constatazione dell'abbassamento del baricentro 
            normativo: il linguaggio si sta democratizzando. Non dobbiamo quindi 
            più pensare all'italiano standard come modello assoluto e perfetto. 
            Oggigiorno, dice sempre Trifone, dobbiamo parlare non di uno standard 
            normativo, bensí di uno standard normale, effettivo, che cioè 
            si riferisce all'uso effettivo della lingua, sfera questa dove il 
            normativo è l'elemento centrale, con intorno elementi sub-standard. 
            
            Quali sono i criteri da seguire per scoprire se determinata espressione 
            è standard oppure no? Ne abbiamo 5:
          1. la CODIFICAZIONE - 
            lo standard normalmente codificato in grammatiche o testi di riferimento;
            2. l'EGEMONIA - se il termine tende ad affermarsi;
            3. il PRESTIGIO - se con questo termine può farsi letteratura;
            4. la FORMALITÀ - se è usata in contesti di uso formali;
            5. la POLIFUNZIONALITÀ - se può coprire diversi registri 
            funzionali (ad esempio, se viene usato anche per il doppiaggio di 
            film).
          A questo punto Trifone 
            ha presentato 5 punti critici dell'italiano riscontrati dal linguista 
            Francesco Sabatini attribuiti al neo-italiano, e cioè all'italiano 
            dell'uso medio, chiamato anche italiano neo-standard.
          a. Il pronome GLI usato 
            anche per A LEI, cioè al posto di LE;
            b. Il CHE come relativo di largo uso, anche in sostituzione di avverbi, 
            come nel caso di 'la casa che ci abito';
            c. Il modo INDICATIVO al posto del modo CONGIUNTIVO;
            d. L'INDICATIVO IMPERFETTO al posto del CONDIZIONALE PASSATO nel periodo 
            ipotetico dell'irrealtà;
            e. L'uso della particella CI antecedendo il verbo avere C'HO FAME, 
            C'HO SETE.
          Ecco un'esempio di analisi 
            fatta dal prof. Trifone di a): 1) è codificato parzialmente 
            (cioè in alcune grammatiche è registrato), 2) tende 
            all'egemonia, 3) non è di prestigio, 4) non è formale, 
            5) è meno versatile di LE.
            Analisi di b): 1) non è codificata; 2) non tende all'egemonia; 
            3) non è di prestigio; 4) non è formale; 5) non è 
            versatile. Quindi, la forma è molto censurata, ed esiste ma 
            non è ammessa, è marcata molto negativamente. A questo 
            punto arrivo perciò alla conclusione che mentre il pronome 
            GLI usato come LE potrebbe anche stabilirsi in un futuro prossimo 
            come modernizzazione della lingua italiana, sicuramente per il relativo 
            CHE ci sono poche speranze che sia adottato da qualsiasi grammatico 
            come esempio anche di uso gergale - cosa che invece già succede 
            per usi impropri del verbo PIACERE con 'a me mi piace', come avevamo 
            visto nella prima conferenza di Trifone. Già le forme c), d) 
            ed e) sono di largo uso e passano quasi in tutti i criteri adottati, 
            quindi debbono essere usate come varianti.
            Quindi, attenzione, colleghi: quando diciamo ai nostri allievi che 
            esistono varie forme coesistenti nella lingua italiana, dobbiamo anche 
            evitare la sovrinformazione con dati che in niente arricchiscono la 
            loro competenza grammaticale o dialogica, causando soltanto un eccessivo 
            input di strutture che loro, comunque, sarebbe meglio che non usassero!
          
            Sempre lo stesso giorno, la Prof.ssa Paola Micheli ha tenuto la sua 
            conferenza dal titolo "Ultime tendenze negli approcci didattici", 
            in cui ha dimostrato come la conoscenza della glottodidattica odierna 
            è strumento imprescindibile per ottenere risultati soddisfacenti 
            nelle nostre classi di giovani ormai sempre più interessati 
            ad una competenza comunicativa completa che preveda, naturalmente, 
            lo studio di tutti gli aspetti culturali italiani.
            Dopo un'esauriente introduzione in cui ha disposto l'evoluzione della 
            glottodidattica in Italia e nel mondo, la Prof.ssa Micheli ha messo 
            in risalto l'importanza della sociolinguistica nell'evoluzione degli 
            studi legati all'insegnamento della lingua straniera, grazie ai quali 
            siamo arrivati ad un approccio eclettico, che unisce il comunicativismo 
            degli anni '80 alla riflessione grammaticale, fulcro dell'approccio 
            strutturalista e dell'anteriore grammatico-traduttivo. Studio della 
            forma sí, quindi, ma senza trascurare gli altri aspetti culturali 
            suggeriti dall'antropologia che ha enormemente influenzato la nascita 
            della sociolinguistica, uno dei cardini dell'attuale didattica delle 
            lingue straniere.
            Per arrivare ai più moderni studi glottodidattici, la Prof.ssa 
            Micheli ha messo in risalto il fatto che negli anni '90 si è 
            avuta un'ondata interculturale, che ha stimolato un nuovo modo di 
            vedere gli altri. I tre principi su cui si basa l'approccio interculturale 
            sono:
            1. bisogna cambiare il nostro punto di vista per vedere il mondo con 
            gli occhi dell'interlocutore;
            2. bisogna avere una buona conoscenza e una corretta interpretazione 
            del background culturale dell'interlocutore;
            3. bisogna avere una comprensione generale della diversità 
            culturale e specifica degli aspetti della cultura dell'interlocutore, 
            non solo in termini contenutistici, ma anche di significato socioculturale.
          Noi, soggetti - come i 
            nostri allievi - del processo di insegnamento-apprendimento, per usare 
            un approccio interculturale dovremo riflettere più profondamente 
            sulle differenze linguistiche e culturali del nostro interlocutore, 
            cercare di sentirci come l'Altro. Così si arriva ad un approccio 
            ove il multiculturale è frutto dell'incontro di culture diverse 
            e dell'accettazione delle varie esperienze culturali. Senza questo 
            obiettivo non si riesce ad arrivare ad un soddisfacente risultato 
            in termini di competenza comunicativa e interculturale.
            In questo momento la Prof.ssa Micheli ha usato Balboni come riferimento, 
            usando una figura piramidale per spiegare i vari momenti contingenti 
            il processo di acquisizione, e sui quali l'allievo dovrà riflettere 
            per far parte attiva dello stesso.
            
          
           
          
          
          
          
            Esplicitando le 3 dimensioni piramidali nel processo di insegnamento-apprendimento 
            di una lingua straniera, Paola si è riferita al n.1 come il 
            dominare le quattro macro-abilità linguistiche intese come 
            in Balboni ; il n.2 si riferisce all'uso consapevole della lingua 
            e la conseguente manipolazione in contesti variati; il n.3 si riferisce 
            ad un concetto più ampio, che prevede una competenza sociale, 
            in uno approccio sociolinguista, insieme alla competenza pragmatica 
            e a quella culturale, in cui bisogna sapere la lingua ma bisogna anche 
            saperla integrare, perciò saper gestire linguaggi verbali cosí 
            come non verbali, e quindi detenere una competenza extralinguistica, 
            e cioè cinesica, prossemica, vestemica e oggettemica . Secondo 
            la Prof.ssa Micheli, questo è l'obiettivo del processo di insegnamento-apprendimento 
            al quale dobbiamo tendere noi professori universitari. Se non si raggiunge 
            questa meta, si corre il rischio di formare legioni di allievi le 
            cui competenze sono destinate a rivelarsi insufficienti per qualsiasi 
            uso si voglia fare della lingua italiana.
            Anche nel "Quadro comune di riferimento europeo" vengono 
            suddivise le competenze generali che uno studente di lingua straniera 
            dovrebbe raggiungere in sapere, saper fare, saper essere, saper apprendere, 
            dove nella categoria del sapere troviamo un'ulteriore suddivisione 
            nelle voci conoscenza del mondo, conoscenza socioculturale, consapevolezza 
            interculturale . 
            Valutando la competenza culturale, la Prof.ssa Micheli ha osservato 
            che forse questi metodi degli anni '80 non hanno funzionato così 
            bene come ci si aspettava anche perché una trascrizione del 
            parlato senza una rappresentazione visiva delle altre strategie comunicative 
            presenti in un dialogo, quali i gesti e le espressioni del viso, erano 
            artificiali e difficili da immaginare da parte dell'allievo. Oltre 
            a questo naturalmente c'è il fatto che la grammatica non era 
            presente nei LD4, rendendo quindi impossibile la necessaria riflessione 
            dell'allievo su quanto appreso.
            Approfittando di questo incipit, la Prof.ssa Micheli ha potuto brevemente 
            difendere l'uso delle immagini cinematografiche come mezzo visivo 
            per supplire alla mancanza di una base immaginifica di ciò 
            che sono gesti e espressioni usate dagli italiani da parte dell'alunnato 
            straniero non in immersione.
          
            Il 1o aprile, a completamento delle attività del I Simposio, 
            il Prof. Trifone ha tenuto la conferenza "La lingua del teatro 
            italiano: Luigi Pirandello, Eduardo De Filippo, Dario Fo", presso 
            l'Istituto Italiano di Cultura - Sala Italia, in cui ha spostato il 
            discorso della mancanza di una omogeinità linguistica italiana 
            dalle aule ai palchi, mettendo in risalto l'influenza negativa sul 
            teatro della cronica mancanza di una lingua comune diffusa nella comunicazione 
            parlata e scritta italiana portando, quindi, ad una limitazione dell'importanza 
            del ruolo del teatro italiano sullo scenario europeo. 
            Prendendo ad esempio Goldoni come caposcuola indiscusso del naturalismo 
            e della simulazione del parlato, Trifone si è riallacciato 
            a drammaturghi quali Pirandello con "una sua tipica insistenza 
            sulle difficoltà, sulle reticenze e sui sottintesi della comunicazione 
            interpersonale" e poi, proseguendo nel tempo e sulla falsariga 
            della naturalezza goldoniana insieme alla problematicità pirandelliana, 
            troviamo Eduardo De Filippo, che "tende a servirsi del mistilinguismo 
            italiano-napoletano per accedere a un ventaglio più ampio di 
            soluzioni espressive".
            Trifone ha infine citato Dario Fo come "l'esempio più 
            chiaro dell'espressionismo e della deformazione carnevalesca del linguaggio 
            (che) parte dalle tipiche tecniche di sollecitazione del riso dei 
            buffoni medievali e dei comici dell'arte e [...] arriva fino al parlare 
            senza parole' [
] con il grammelot, l'accozzaglia di suoni vocali 
            privi di significato, ma resi significanti dall'abilità mimica 
            e gestuale dello stesso Fo".
            A conclusione, posso dire che eventi di questo livello ci portano 
            una ventata di cultura e di freschezza linguistica impari, e spero 
            si ripetano con più frequenza nel nostro Brasile che tanta 
            passione dimostra per la lingua e la cultura italiane, attraverso 
            i numeri sempre più in crescita delle nostre matricole univiversitarie. 
            A conlusione, desidero fare i miei complimenti allo staff della UFRJ 
            per la qualità e serietà della proposta, sperando di 
            poter, in un futuro prossimo, unirci e dare continuità ad eventi 
            di questo tipo.