"Deus e o Diabo na terra dp Sol": altre immagini dal purgatorio

Luiz Henrique da Costa


Si è già detto molto sulla capacità di Deus e o diabo na Terra do Sol di confondere passati e futuri di una certa terra strana, persa nei “mari del sud”, a volte attenta, a volte estranea al tempo che l’attraversa. E, infatti,
il fi lm di Glauber Rocha, del 1964, somma accenti storici inusitati ai riferimenti di un Brasi le ancora separato dai prossimi capitoli della
marcia che aveva appena fatto con Dio per la manutenzione di tradizioni agrarie e morali. Ma c’è ancora molto da percepire per quanto riguarda questo aspetto.
Glauber è impertinente verso la storia e l’arte che abbiamo consacrato nel tempo. Audacemente barocco, non solo per la sua prolissità (e in tempi in cui il silenzio si imponeva quasi come divisa civica), non solo per gli eccessi caratteristici della sua narrativa, ma soprattutto per l’aver osato fare una “revisione” di ciò che i popoli europei hanno lasciato in Brasile come eredità storica. È come se al cinema fosse concesso di ricostruire il mondo
(delirio tutto proprio dei sogni rivoluzionari dei cinema nuovi sorti negli anni ’60), Glauber crea un’ellissi nella storia, riprendendo un qualcosa simile ai fondamenti dell’identità del popolo brasiliano.
Molto prima di rendersi conto di un avvenimento così sorprendente come la scoperta dell’America, la consacrazione del cristianesimo come religione, nel IV secolo, portava già alla comprensione del mondo come una generazione di opposti – e si consolidavano già, nell’immaginario dell’uomo europeo, le aspettative per ciò che riguardava qualsiasi terra ancora da scoprire. Così, non si poteva spiegare quell’oggetto strano che era il Nuovo Mondo (ornato dai popoli strani che lo abitavano, con le loro storie ugualmente strane, estranee ai dogmi cattolici) a non essere con il riconoscimento della sua conformazione geografi ca, la sua natura e i suoi abitanti a partire dalla sovrapposizione di emblemi edenici e demoniaci. Il Brasile, ovviamente, non si escludeva da questo rico noscimento1 E Glauber, anche senza sapere così chiaramente quanto potremmo affermare oggi, già lo intuiva con il suo film.
Anche il Purgatorio – avvento rinascimentale che in principio non terrebbe nessuna cor rispondenza con episodi così posteriori e così regionalmente circoscritti quanto la Guerra di Canudos o il cangaço – che ha i suoi contor-
ni ridefi niti in Deus e o diabo; le costruzioni dell’immaginario che gli hanno dato causa hanno le loro coordinate di spazio e tempo lì ridimensionate, il che conferisce alla purifi cazione dei peccati un signifi cato che si estende al di qua (o al di là) dei disegni divini: da sem pre, il Purgatorio è qui, dove gli uomini l’hanno inventato e si sono dimenticati di averlo fatto – non un universo parallelo, ma la stessa terra dove camminano, malgrado Dio, algra-
do il diavolo.
Glauber, come Eisenstein, come Zavattini è sicuramente arrivato a supporre per ciò che riguardava il neorealismo italiano, come Pasolini, defi nisce come centro di gravitazione del suo fi lm un qualcosa come il rendere mondiale determinata fenomenologia politica che, secondo la tradizione, si può realiz-
zare soltanto con la concorrenza di coppie simmetricamente opposte – l’inferno è qui: l’inferno non è qui.
La convinzione di che dovrebbero esserci abissi che segnano i confi ni dell’universo, protetti da mostri di fuoco, si fondeva, in quell’ultimo istante del XV secolo, all’intuizione di Eldoradi, di terre meravigliose ancora non rivelate al mondo, dando origine al miraggio di cieli e inferni simultanei da que sto lato dell’Atlantico. Quasi cinque secoli dopo, è ancora all’interno di questo amalgama che gli sforzi “restauratori” con cui Glauber si dibatte possono essere percepiti con maggior intensità e chiarezza: è stato lì, in quella sovrapposizione di sguardi, che il Brasile ha avuto origine, ed è da lì che vuole che rinasca – da un altro passato verso un altro futuro.
Deus e o diabo na Terra do Sol esponde la mancanza di direzione di coloro che vivono in quella terra strana quando messi di fronte al silenzio di Dio. Gesti inutili, imprecisi, i personaggi si muovono nell’attesa di un qualsiasi segnale, approvando o no il prossimo passo; Giuseppi, Marie in un nuovo Egitto, muoiono, insistono, sopravvivono di, da, per elaborare versioni sull’indifferenza di un Dio che si disinteressa alla sua stessa taumaturgia: il lupo dell’uomo è un altro e lo stesso – il che è comunque miracoloso.
Nel film di Glauber c’è uno stesso sebastianismo2 che confonde i limiti di ciò che c’è di terribile e di miracoloso in tutti le forme di speranza: beati, fernandi, eroi di nuove crociate, qualsiasi sia l’etichetta dell’enigma luminoso che saremmo stati condannati ad aspettare, nel bene e nel male, il suo nome è Sebastião. Il nome datogli (O Desejado, trad. Il Desiderato), ripetuto nei cieli, venerato negli abissi, ci minaccia con l’ultimo richiamo, l’ultima messa delle anime prima che il nascere del giorno realizzi la promessa di nuove arche che sorgono dalla fede, cieca, nel sertão (nel mare, nel sertão) di Monte Santo, nella sua santifi cata barbarie, nelle sue lacune e sopraddetti.
Come osserva Mello e Souza,
Nella Divina Commedia, Dante Alighieri ha fi ssato defi nitivamente l’immagine del Purgatorio, dandogli anche un’esistenza geografi ca: era una montagna dove le anime pagavano i loro peccati, se ne purifi cavano e aspettavano una possibile salvezza che sarebbe arrivata con il Giudizio Finale. Ma fi no al incorporarsi nella montagna di Dante,il Purgatorio ha attraversato un lungo percorso, costruendosi a partire da elaborazioni mentali, sogni, proiezioni dell’immaginario europeo legati a tradizioni millenarie originarie dal mondo antico […] Per tessere il Purgatorio, sono stati intrecciati gli elementi della cultura erudita e di quella popolare. Tra il 1150 e il 1250 emergono le agiografi e, che prestano tradizioni alla stessa formula erudita del Purgatorio.3
Glauber finge di ripetere come una farsa questa “esistenza geografi ca” inaugurata da Dante e confermata nella sua immortalità dalla penna di Paul Gustave Doré. In realtà, la reinventa: da cui i timore, da cui la verti-gine dei cieli in cui si devono intonare glorie a Dio – causa e conseguenza dell’invenzione del Purgatorio – vogliono immischiarsi la vertigine della caduta e sovrapporre la necessità di conquistarla.
Il personaggio Antônio das Mortes di Glauber esita tra l’intuizione dell’inferno che gli si prospetterà per l’aver ucciso un Bastião che lui sospetta sia santo, scherzoso divino di un “Boi-Bumbá” per la resurrezione degli uomini, e l’incerta assoluzione uffi ciale per i peccati la cui esistenza e signifi cato in al tra epoca gli furono assolti dal sacerdote di uno stesso uffi cio che, ora, ha bisogno dei suoi servizi di assassino – chiunque lui fosse l’araldo di una nuova inquisizione. Le candele accese, Antônio das Mortes non sa chi le ha accese: accetta di uccidere i fedeli, accetta il denaro come pagamento, ma non si libera dall’incomoda certezza che il Buo (Boi) deve rinascere, e rinascere, anche dopo che la fiamma si spenge.
Corisco ha come estrema unzione il ri cordo della forza dei poteri del popolo (chi?) idealizzato da Glauber. Nei suoi ultimi giorni di vita, la sua voce (che già rivolge ai venti del Monte Santo nelle labbra del beato4) è condi-
visa anche dallo spirito di Lampião - diavolo già morto, ma che ancora insiste nella guerra santa della propria vita. Le voci della sua voce errano tra demonio e altro, ma rivelano la permanenza, nel fondo della sua anima, della
certezza divina del libero arbitrio – o ciò che restò di lui: in questo sertão, l’uomo vale qual- cosa solo quando si affi da alle armi per cambiare il proprio destino...
E il destino si presenta: stordito dai travestimenti con cui la divinità si sottrae ai suoi occhi, Manuel, ceco, inciampa contro segnali; si confonde tra desiderio di consumo della felicità mondana al lato di Rosa e dei fi gli che non arrivarono, l’ispirazione allo stato di beato al quale sarà condotto per opera e grazia del suo padrino Sebastião, e un battesimo violento celebrato senza le acque nè bianchi dal diavolo biondo di Lampião – che precipi- ta la sua necessità di atterraggio ai piedi del senza nome.
Niente è ciò che doveva essere, e Manuel apprende la lezione: tutto nella vita è perdere il passo, il ritmo esatto, e cercare. Tra Dio e il Diavolo, sono sempre stati scelti entrambe. Quando meno affi nché si racconti la storia, una volta in più.

Janeiro, em julho de 2005.

 


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