Umiltà e Rigore: consigli per l'esercizio del potere

Francesco Alberoni

L’esercizio del potere tende a creare disincanto, che può diventare aridità, cinismo. L’ho visto in alcuni uomini politici che l’hanno esercitato per anni. Questo effetto è prodotto da due cause distinte. La prima è che il potere costringe sempre alla lotta. La gente comune pensa che nessuno sia mai stato più tranquillo e beato di un califfo. In realtà i califfi, per raggiungere il trono, hanno quasi sempre dovuto sostenere feroci guerre civili contro i numerosi fratelli. Il potere politico è conflitto. Basta aprire la televisione per vedere che il presidente del Consiglio e i ministri di turno, in qualsiasi Paese, sono sempre sotto attacco dell’opposizione. Ma lo sono anche all’interno, da parte di coloro che aspirano a sostituirli. Napoleone ha scritto che tutti i suoi marescialli avrebbero voluto prendere il suo posto. Cesare è stato ucciso dai suoi amici. Perfino l’imprenditore che ha creato da solo la sua impresa si trova non poche volte contro l’ambizione dei figli.
Ma c’è un secondo motivo. Avere potere vuol dire avere la possibilità di soddisfare o non soddisfare le esigenze, i desideri, le ambizioni, i sogni degli altri. Il proprietario di una grande impresa può nominare dirigente un giovane funzionario e assegnargli uno stipendio favoloso, oppure lasciarlo in un angolo. Il grande produttore può decidere di lanciare un attore o un’attrice facendone una star famosa e miliardaria. Il sindaco di un comune può favorire un’impresa e consentirle immensi guadagni immobiliari.
Attorno a chi possiede potere, perciò, si muovono continuamente persone che chiedono. Alcune che sperano in un miglioramento della propria condizione, altre che vogliono conservare o accrescere i propri privilegi. Alcune timide, altre prepotenti, alcune oneste, altre spregiudicate. Alcune che propongono progetti geniali, altre che vendono fumo. Alcune isolate, altre che hanno appoggi potenti. E ciascuno ha il suo modo di chiedere: con il ragionamento, la lusinga, la pressione, la seduzione, la corruzione, il ricatto.
Chi ha potere viene perciò in contatto soprattutto con l’aspetto aggressivo, subdolo, oppure con quello servile, avido, dell’umanità. Quindi, da un lato tende a diventare diffidente e sospettoso. Dall’altro a sentirsi superiore, e a comportarsi in modo freddo, arrogante. Per non inaridirsi, deve tornare a osservare le cose con animo semplice, con freschezza. Scendere dal piedestallo, uscire dall’ufficio, mescolarsi alla gente, guardare, ascoltare. Andare fra coloro che lavorano per lui, discutere con loro i problemi, studiare insieme che cosa fare. Parlare con chi utilizza i suoi prodotti, i suoi servizi, per capire che cosa non funziona e dove correggere.
I grandi condottieri hanno sempre avuto questo rapporto diretto con i loro ufficiali e i loro soldati, e quando lo hanno perso hanno smarrito la strada. I grandi imprenditori si identificano con i consumatori, visitano i negozi, studiano continuamente come migliorare il proprio prodotto. Solo questa concretezza, questa umiltà, consentono al capo di restare umano, sensibile, vigile, capace di rinnovarsi. Più esigente con se stesso, più rigoroso con i suoi e più giusto con gli altri.

 


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