CIACOLE VENETE

Goliardia padovana e poesia goliardica

Franco Vicenzotti

Il turista ignaro che arrivasse a Padova l’VIII Febbraio di un anno qualsiasi, crederebbe probabilmente di essere arrivato a Sodoma e Gomorra: incontrerebbe una città in pieno delirio dionisiaco, tra gruppi di goliardi con il famoso cappello a punta di origine medioevale (in cui il colore indica la facoltà di frequenza), vocianti, schiamazzanti, in preda a ebbrezza alcolica, cantando canzoni di carattere lubrico ed osceno all’insegna della trasgressione più sfrenata: sono i discendenti dei “clerici vagantes” altrimenti chiamati goliardi (da gula = ghiottoni) che nella seconda metà del 1200, dopo una grande rissa con il corpo accademico dell’Università di Bologna (la più antica del mondo) decisero di fondare lo Studio Patavino, la cui splendida sede, nel centro di Padova, il Bo’, è famosa per preservare intatto il più antico teatro chirurgico del mondo: un’ampia scala a chiocciola di legno con al centro il tavolo del professore chirurgo, che dá accesso ad una sala in cui venivano mantenuti i cadaveri accanto ai pazienti in attesa di operazione, famosa per affreschi estremamente realistici che mostrano importanti operazioni del tempo e soprattutto gli strumenti che la tecnologia di allora offriva ai chirurghi stessi.
Nacque allora la seconda università d’Europa, che ben presto si propose come uno dei grandi centri propulsori della cultura, medica, giuridica, letteraria, filosofica, poetica ecc, nel Vecchio Continente.
Una delle forme più originali di poesia che da Bologna, da Padova, da Parigi, da Londra, da Berlino si diffuse in quel tempo fu la così detta poesia goliardica, frutto della fantasia ironica, dissacratrice, sarcastica, di questi “clerici vagantes”, spesso di origine sociale modesta, spesso iniziati a studi religiosi mai terminati, spesso in aspro conflitto con i due poteri centrali del Medioevo, l’Impero e la Chiesa: non sono rari, in queste composizioni poetiche, in latino fino a tutto il seicento, poi sempre più nei volgari nazionali, la critica e il dileggio di cardinali e vescovi corrotti ed ignoranti, di funzionari imperiali sfruttatori e parassiti.
Degli autori delle composizioni spesso non ci sono rimasti dati biografici; di alcuni peraltro ci è ben noto il percorso intellettuale ed il successo sociale come ad esempio di Ugo D’Orleans (1095-1160), maestro di grammatica, di Pietro di Blois (1135-1204), dello stesso Abelardo che, per Eloisa, aveva scritto dei “carmina amatoria”.
Per tornare in Italia, ricordiamo il grammatico Morando da Padova, che compose uno splendido elogio del vino (Vinum dulce gloriosum) e soprattutto Pier delle Vigne, giurista e poeta, segretario del grande Re Federico II di Svevia, che Dante porrà all’inferno nel girone dei suicidi.

(*La meretrice che mai dall’ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune e delle corti di vizio, infiammò contra me li animi tutti; e li’nfiammati infiammar sì Augusto che’ lieti onor tornaro in tristi lutti. L’animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno. *l’ingiusto fece contra me giusto) - inferno canto XIII -

Il poeta palermitano compose una famosa satira contro il clero e soprattutto l’inno della gioventù che è diventato l’inno ufficiale delle università europee e che qui proponiamo:

Gaudeamus igitur
Juvenes dum sumus
Gaudeamus igitur
Juvenes dum sumus
Post jucundam iuventutem
Post funestam senectutem
Nos habebit humus
Godiamo dunque mentre siamo giovani;
dopo la giocosa gioventù,
dopo la funesta vecchiaia,
ci riavrà la terra

I temi costanti di questa poesia trasgressiva sono l’amore, il sesso, il vino, il giuoco d’azzardo, la gioventù che corre veloce, le donne che sempre tradiscono. I modi espressivi sono sostanzialmente di cinque tipi:

a) I misteri gloriosi - Esempio:
Nel secondo mistero glorioso si contempla Sant’Esaú che col c. rosso e blu correggeva i compiti.
Refrain: misuriamo il nostro col vostro per vedere se il nostro è più lungo del vostro.
È sempre il nostro.
b) Le osterie - Esempio:
Osteria n° due, le tue gambe fra le mie
Le mie gambe fra le tue
Fanno mille porcherie
Refrain: Daghela ben biondina
Daghela ben biondà
c) I poemi erotico-scurrili - Esempio:
Al ventisete de ogni mese tute le done le ga el marchese, cosa le fa ste brute troiase, le se impenise la mona de strase
Refrain: Din don dan campana e martelo
Fora le strase, dentro l’oselo
d) La rivisitazione della civiltà Ellenistico Romana - Esempio:
“Ifigenia in Aulide” diventa “Ifigonia in Culide” (autore ignoto); lascio
alla fantasia del lettore immaginare i contenuti.
e) La rivisitazione della storia antica - Esempio:
E narra la leggenda;
Che Romolo Quirino, il di che fondò Roma, ci mise su un casino.
Poiché le bolognesi non erano vicine
Dovette accontentarsi di vergini sabine
Ma questa è una leggenda di un tempo ormai lontano, al posto del casino c´è oggi il Vaticano.
Refrain: Rosina dammela!
Dammela!
Dammela!
Dammela per amor
Non molto “politicaly correct”, vero? Peraltro ricordiamoci che siamo nell’ambito di una tradizione totalmente trasgressiva all’insegna della smitizzazione di tutti i valori ed i principi delle classi dominanti. Inoltre la rivoluzione femminista era ancora molto lontana.
Probabilmente gli anarchici moderni il cui motto fondamentale resta: “ni dieu, ni patrie, ni famille” si sarebbero riconosciuti in questa tradizione; certamente ci si sarebbe riconosciuto l’immortale Giorgio Baffo, nonché Angelo Beolco, il Ruzante, autore della splendida “Moscheta” e Merlin Cocai, autore del mirabile poema eroicomico “Baldus”. Padovani gran dottori.
Venendo ai nostri tempi, si è ampiamente ispirato alla tradizione goliardica quel gran giullare, autore dei “Misteri Buffi” e di “Johan Padan”, nonché Premio Nobel per la letteratura, che è Dario Fo.
Ma aldilà dei forti contenuti anticlericali della poesia goliardica, i goliardi padovani che rapporto avevano con la religione? La tradizione vuole che professassero una variante del Cattolicesimo Apostolico Romano, il Cattolicesimo Apostolico Veneto, che solamente obbediva ai seguenti tre comandamenti:

“Iddio perdona chi lecca la mona;
Iddio tormenta quei che el culo tenta;
Iddio castiga chi non ama la figa”

È interessante peraltro notare come al Teatro Verdi ogni VIII Febbraio le maggiori autorità patavine in primis il Vescovo, il potentissimo Monsignor Bortignon, si accalchino per ascoltare le poesie goliardiche cantate dall’ineffabile gruppo orchestrale dell’Università di Padova “Vitaliano Lenguazza”, nomen omen, per celebrare una tradizione che si perde nella notte dei tempi ed è diventata parte integrante della cultura della borghesia padovana. Una tradizione ancora dinamica e vitale, se ha potuto ispirare, ancora nel 1944, Carl Orff a comporre quel capolavoro che sono i “Carmina Burana”.
*La Chiesa di Roma
*Pier delle Vigne si suicidò

 


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