Frate Cipolla

Nildo Massimo Benedetti

Frate Cipolla, la decima novella della sesta giornata del Decameron, di Giovanni Boccaccio, è preceduta dal seguente commento:

Frate Cipolla promette a certi contadini di mostrar loro la penna dell’agnolo Gabriello; in luogo della quale trovando carboni, quegli dice essere di quegli che arrostirono San Lorenzo.

La sesta giornata è dedicata a coloro che riescono a superare situazioni di rischio impreviste, mediante l’uso opportuno e appropriato della parola. L’esaltazione della capacità dell’oratoria e della presenza di spirito come mezzi per cavarsela in situazioni imbarazzanti non è un tema esclusivo della sesta giornata, anzi è presente anche in molte novelle delle altre giornate del Decameron.
La trama della novella è questa: Frate Cipolla mostra a dei contadini una penna di pappagallo, affermando che si tratta di una penna dell’angelo Gabriele. Lascia la sua preziosa “reliquia” in custodia al suo servo Guccio, il quale, però, si stava dando da fare per sedurre la serva Nuta. Due giovani mattacchioni, amici di Cipolla, approfittando della negligenza di Guccio, entrano nella camera di Cipolla e mettono carbone al posto della penna. Il frate, quando apre la scatola davanti ai contadini e trova il carbone, spiega ai presenti che aveva preso la scatola sbagliata e che ne aveva portata una identica all’altra che, invece della penna, custodiva i carboni in cui era stato bruciato San Lorenzo.
In Frate Cipolla si presentano due strati sociali e intellettuali ben distinti. In uno si situano gli ignoranti e i poveri di spirito: Nuta, Guccio e i contadini di Certaldo. Boccaccio è spietato verso di loro e, in questa, come in quasi tutte le novelle del Decameron, stabilisce una divisione fra la vita esclusivamente istintiva, quasi animalesca, propria degli strati sociali inferiori, e la vita di contemplazione della natura e della creazione divina, propria delle classi più elevate e istruite. Questa distinzione nel trattamento dei diversi strati sociali è frutto della convenzione dell’amor cortese che ha pervaso tutto il Medioevo, secondo la quale la poesia idillica poteva rappresentare soltanto dialoghi d’amore fra nobili, mentre ai contadini erano destinate forme burlesche, dato che, secondo il concetto diffuso in quell’epoca, l’amore fisico e animalesco era una caratteristica degli strati sociali più bassi.
La serva Nuta è descritta dal narratore come una cuoca sporca di fuliggine e di unto, “con un paio di poppe che parevan due ceston da letame”. Al suo stesso strato sociale e intellettuale appartiene Guccio, il servo di Cipolla, chiamato anche Balena, Imbratta e Porco. Questi, utilizzando la magra retorica concessagli da una natura avara e ispirandosi al suo padrone, del quale é seguace e ammiratore fedele, tenta di sedurre Nuta, come è solito fare con le altre serve. Convinto di usare il mezzo più efficace dell’arte della seduzione, mente spudoramente a proposito della sua situazione economica per fare impressione sulla donna. Ma non riesce nei suoi intenti, nonostante prolunghi il suo tentativo per alcune ore.
Il secondo strato sociale e intellettuale presente nella novella, e in contrapposizione con il primo, è costituito dal gruppo a cui appartengono Frate Cipolla e i suoi due amici di Certaldo.
La differente competenza in fatto di retorica e oratoria crea un abisso enorme fra Guccio e Cipolla e mentre rende il primo un essere odiato e fallito, come dimostrano i suoi nomignoli dispregiativi e i suoi fiaschi come seduttore, fa del secondo un amico di tutti,. Grazie alla sua oratoria e alla sua arguta e notevole presenza di spirito, Cipolla esce vittorioso dal tranello preparatogli dai due giovani che avevano nascosto la sua preziosa “reliquia”, la penna di pappagallo.
Quando apre la scatola che dovrebbe contenere la penna e vede il carbone, Cipolla esclama: “O Iddio, lodata sia sempre la tua potenza!” Inventa, poi, una storia piena di affermazioni stranissime, assurdi geografici, giochi di parole, ambiguità, insomma, un capolavoro di oratoria, seguito dalla benedizione della folla con i carboni – una messinscena che occupa quasi un terzo della novella, fatto che ne rivela l’importanza.
È ammirevole la rapidità di pensiero di Cipolla: con prontezza, senza manifestare emozioni che possano comprometterlo agli occhi dei fedeli, deduce che il responsabile dello scambio non era il suo servo, ma qualche mattacchione. Pensa che era stato uno sciocco e che non avrebbe mai dovuto consegnare un oggetto tanto prezioso e pericoloso a uno scervellato come Guccio. E, soprattutto, si rende conto che può volgere la situazione a suo vantaggio, e si affretta ad attribuire direttamente a Dio l’equivoco dello scambio della scatola che contiene la penna dell’angelo Gabriele con quella che contiene i carboni con cui San Lorenzo era stato bruciato vivo. Così i fedeli possono rendere omaggio a questo santo, la cui festa sarebbe stata commemorata due giorni dopo. Cipolla esalta, allora, la potenza divina, con la frase citata.
A chi sono dirette le parole di Cipolla? Ai due giovani amici che hanno cercato di burlarsi di lui, la cui identità egli non conosceva ancora, e ai fedeli che lo ascoltano con attenzione e fede ardente, mentre venerano la falsa reliquia. I suoi due amici sapevano che Cipolla non sarebbe caduto nel tranello che gli avevano preparato rubandogli la penna di pappagallo, perché conoscevano molto bene le sue capacità di oratoria e di improvvisazione. Se non ne fossero stati convinti, non lo avrebbero messo in una situazione del genere, col rischio di rovinargli la reputazione. I due burloni volevano solo godersi la scena che il frate avrebbe inventato e già se la immaginavano. Cipolla, allora, non soltanto si diverte alle spalle dei suo ingenui fedeli (e questa è, forse, la cosa meno importante), ma inscena una commedia, il cui protagonista è proprio lui, mentre i fedeli sono comparse involontarie, rivolta a un pubblico ristretto: i due amici che gli hanno rubato la penna. In questo modo, fa divertire questa “piccola platea”, capace di capirlo perché dotata, come lui, di un livello intellettuale elevato, alle spalle dell’altro pubblico, i contadini creduli. La sua conoscenza dei due strati sociali di Certaldo – il superiore, al quale appartengono i due giovani e Boccaccio, e l’inferiore, dei contadini – rende Cipolla sicuro del fatto suo, perché sa di essere capito da pochi e di essere capace di ingannare molti.
La novella di Frate Cipolla si svolge in Italia ed in essa, come nella maggior parte delle novelle del Decameron, il modo con cui il narratore si riferisce alla città riflette il concetto che ha dei suoi abitanti. Ciò fa pensare che Boccaccio voglia fare riferimento ad alcuni aspetti peculiari della popolazione di Certaldo, la sua città natale, che meritavano di essere presentati nella novella più lunga della sesta giornata. Infatti, sono evidenti la dabbenaggine dei suoi contadini e l’arguzia della sua élite. Ci sia permesso, però, formulare un’altra ipotesi interpretativa per questa novella: Boccaccio non vuol forse dirci che Cipolla è un esempio rappresentativo della strato sociale superiore di Certaldo, del quale anch’egli fa parte, e che questo strato ha abilità retoriche sufficienti a ingannare e a far divertire molti, ma può essere compreso solo da pochi? Un’ipotesi come questa propone livelli stratificati di comprensione del Decameron o, almeno, della novella di Cipolla.

 


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