Il nostro Giordano Bruno, fra Paolo Sarpi

Franco Vicenzotti

Agosto, 1571. La flotta cristiana sotto la guida di Don Giovanni d’Austria sconfigge in una battaglia navale memorabile la flotta musulmana fermando definitivamente l’impetuosa avanzata dell’islam verso l’Europa Occidentale.
Come ricorda Fernand Braudel nel suo capolavoro “La Méditeranèe sous l’empire de Philippe 2nd”, più di metà della flotta cristiana proveniva dalla Repubblica Serenissima. Infatti se è vero che gli Spagnoli con Carlo V e Filippo II e gli Inglesi con Elisabetta I si contendevano gli oceani, Venezia era in quel periodo decisamente la “Regina del Mediterraneo”, con eccezione delle coste orientali controllate dalle flotte mulsumane.
Peraltro questa posizione decisamente imperiale mostrava già tutti i sintomi di quella fragilità e debolezza che avrebbero portato la Serenissima al disastro di Campoformido nel 1797, a causa della inarrestabile pressione delle truppe napoleoniche.
Se infatti alla fine del 500 la Repubblica Serenissima controllava il Nord Italia fino a Bergamo e l’Istria, le coste dalmate con importanti basi come Zara, Sebenico, Spalato e Ragusa (Dubrovnic), l’isola di Corfú, nonché il Pireo con Modone e Corone, la costa turca con Smirne ed Antalia, sotto la constante pressione delle forze musulmane aveva già perso l’importante piazza di Candia (Creta), manteneva un controllo molto effimero su Rodi e su Cipro ed aveva difficoltà a tenere sotto la sua tutela le dodici isole del Dodecaneso.
Il colpo più grave, naturalmente era stato, al di là della perdita di Candia, la cacciata dei veneziani da Costantinopoli (Bisanzio) con l’occupazione della capitale dell’Impero Romano d’Oriente da parte di Maometto II, il Conquistatore, nel 1453.
Queste brevi annotazioni storiche servono solamente a porre nel giusto contesto una vicenda che in questa situazione di debolezza corse il rischio di dare un colpo definitivo alla già fragile struttura della Repubblica: la “guerra delle scritture” in cui giganteggiò la figura di un grande frate servita veneto, fra Paolo Sarpi, l’altro Giordano Bruno, peraltro di questo più fortunato in quanto i sicari inviati dal Vaticano perché passasse a miglior vita non mostrarono grande professionalità ed il nostro sopravvisse alle coltellate infertegli dagli assassini probabilmente inviati dal Cardinale Borghese ai quali sembra aver indirizzato, dando prova di grande umor nero, la famosa frase -”agnosco stilum romanae eclesiae” (laddove stilum significa sia stile che stiletto).
Che cosa diede origine a questa guerra delle scritture?
Sostanzialmente alcuni gravi fatti di cronaca nera avvenuti a Venezia agli inizi del seicento. Due canonici tra cui il Conte Marcantonio Brandolini, Abate di Nervesa, si erano macchiati di gravi crimini, omicidi, stupri e violenze di ogni genere: naturalmente i Dieci della Serenissima li avevano fatti incarcerare, ritenendoli soggetti alle leggi che la Repubblica si era data.
Peraltro, l’autoritario Papa Paolo V, invocando il diritto canonico aveva inviato due “brevi” perentori chiedendo che i due canonici fossero estradati allo Stato Pontificio, dove sarebbero stati giudicati, negando alla Repubblica Serenissima il diritto di giudicare dei religiosi.
L’Ambasciatore della Serenissima Agostino Nani aveva una risposta estremamente ferma e dignitosa: “I veneziani nati in libertà, non erano tenuti a rendere conto delle operazioni loro se non al Signor Iddio, unico superiore al Doge nelle cose temporanee”.
Nel gennaio 1606 veniva nominato consultore in jure, teologo e canonista della Serenissima Repubblica fra Paolo Sarpi dell’ordine dei Servi di Maria.
Ma chi era Paolo Sarpi? Nato a San Vito al Tagliamento si era imposto fin da adolescente per una estrema curiosità intellettuale che in età giovanissima lo aveva portato ad essere matematico e fisico, apprezzato amico di Galileo Galilei e di nobili intellettuali veneziani come Alvise e Alessandro Zorzi, Antonio Querini, Nicolò Sagredo ecc; la sua curiosità l’aveva poi indirizzato verso gli studi giuridici fino ad ottenere un dottorato in diritto canonico e relazioni internazionali nell’Università di Padova.
Nella veste di consultore giuridico alla Serenissima nella vicenda, a lui si deve la dottrina presentata nel “Protesto” in cui la Repubblica Serenissima confronta la tesi di Paolo V e introduce i principi della totale autonomia giuridica dello Stato nei confronti di qualsiasi interferenza religiosa, anticipando di più di due secoli il principio del giurisdizionalismo di Cavour “libero stato in libera chiesa”, che creerà una frattura profonda fra il nuovo Stato unitario italiano e il Vaticano, rottura che sarà solamente sanata con il famoso trattato delle “Guarentige” realizzato da Mussolini che non poteva aspirare al potere con l’opposizione dei cattolici.
Si dimostra ancora una volta che la Repubblica Serenissima, la più antica Repubblica d’Europa era di molto in anticipo sui tempi introducendo la netta separazione dei diritti dello Stato e della Chiesa.
La reazione del Vaticano nei confronti degli scritti estremamente eruditi e puntuali del Sarpi (“scrittura sopra la validità della scomunica giusta e ingiusta”, “considerazioni sopra le censure della santità di Paolo V” ecc) furono durissime: fu chiesto al padre servita di recarsi a Roma per essere giudicato dalla Santa Inquisizione; il Nostro, visto quanto era accaduto a Giordano Bruno, naturalmente si rifiutò, pertanto fu scomunicato.
Fu chiesto al Senato della Serenissima di estradare il servita allo Stato Pontificio: il Senato oppose un netto rifiuto, si accusò allora il servita di flirtare con i protestanti di mezza Europa e di voler introdurre il protestantesimo nei territori della Repubblica.
Era questa una falsa accusa, perché se era pur vero che il padre servita aveva ottime relazioni con gli ugonotti francesi, i calvinisti svizzeri, gli anglicani britannici, e i protestanti olandesi, era solo perché da buon politico, cercava di tessere un’alleanza internazionale, soprattutto centrata sulla Francia, in cui il predominio in Italia degli spagnoli cui lo Stato Pontificio era legato a doppio filo, potesse venire controbilanciato per rompere la possibile creazione di un’alleanza a tenaglia che avrebbe potuto mettere in pericolo l’esistenza stessa della Repubblica Veneziana.
Ricordiamoci che solo poco più di mezzo secolo prima la Repubblica era stata messa a rischio di scomparire a causa delle alleanze internazionali contro lei organizzate dal Papa guerriero Giulio II della Rovere (Lega di Cognac, Lega di Cambrai).
L’espansione dell’Impero marittimo di Venezia, che forse avrebbe potuto unificare quattro secoli prima l’Italia, era infatti dovuta alla bellicosa opposizione dello stato Pontificio che costantemente in nome della comune religione cattolica, era pronto a coalizzare contro Venezia gli Asburgo e i Borbone per frenarne qualsiasi spinta propulsiva all’interno del territorio italiano.
La vocazione marittima di Venezia, potenza extra italiana fu più che una scelta quasi una necessità: non potendosi espandere sul suolo italiano le restò unicamente l’opzione mediterranea.
La guerra delle scritture si concluse sotto l’arguta gestione di Paolo Sarpi con un compromesso onorevole che non mise in discussione il diritto della Serenissima a giudicare religiosi nel suo territorio.
Il Senato estradò i due canonici criminali ai francesi che si erano impegnati a giudicarli ed il Vaticano ritirò la scomunica imposta alla Repubblica Serenissima, scomunica che peraltro non aveva sortito nessun effetto.
Paolo Sarpi, noto come grandissimo storico del concilio tridentino (“Storia del concilio Tridentino”) in cui analizza con stile secco, caustico e rigoroso le vicende della Chiesa che sotto la pressione del luteranesimo e del calvinismo ha deciso di riformarsi per tentare di riimporre la sua supremazia nel mondo cristiano, continuerà una vita frugale fino alla morte a 71 anni, sostenendo sempre con vigore, contro la potenza unificatrice dell’autorità pontificia, la “sovranità e maestà” dello Stato.
Lo “stilum” del Vaticano che tanto più efficace era stato nei confronti di grandi esponenti del libero pensiero come Tommaso Campanella, infelice comunista millenaristico-cristiano che per la sua opera “La città del sole” era stato condannato al carcere perpetuo, morendovi dopo 22 anni di detenzione e Giordano Bruno, eretico e profeta condannato al rogo, questa volta aveva miseramente fallito.

 


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