La Bossi-Fini e le morti clandestini

Giusy D'Alconzo

L’11 luglio scorso il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente la legge cosiddetta Bossi-Fini, che modifica le norme sull’immigrazione e l’asilo politico contenute nel Testo Unico 286, approvato dalla passata legislatura nel 1998. La nuove legge, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 26 agosto 2002, entrerà in vigore il 10 settembre.
L’emotività collettiva che da qualche tempo in Italia accompagna ogni evento e provvedimento in materia di immigrazione ha vissuto, durante il percorso di questa legge, momenti che non esiterei a definire preoccupanti. Deve infatti preoccupare l’opinione pubblica ogni volta che, su suggerimento di televisioni e giornali, esprime opinioni e giudizi spacciandoli per realtà scientificamente provate, e questo, negli ultimi mesi, è accaduto troppe volte. Gli stranieri, sempre e soltanto definiti clandestini dai mass-media, sono stati oggetto di una vera e propria campagna diffamatoria, tesa ad esaltare ogni misfatto compiuto da uno di essi dimenticando il lavoro, l’onestà e le sofferenze della maggior parte. Campagna che è stata intensificata ad arte in occasione dei passaggi cruciali dell’iter legislativo, e che ha trovato, purtroppo, largo seguito presso il popolo italiano. Ma si sa, l’immigrazione è, dopo il campionato di calcio, l’argomento preferito dagli italiani per accompagnare il cappuccino o intrattenere il vicino di posto nell’autobus. Materia sulla quale ognuno ha un opinione o, peggio, una teoria. E, in questo incrociarsi di talk-show da caffetteria o da mezzo pubblico, alla maggior parte delle persone sono purtroppo sfuggiti i contenuti umani e tecnici del problema.
La Bossi-Fini, propa-gandata come normativa che “finalmente” regola in modo serio l’argomento, è in realtà restrittiva laddove non ve ne sarebbe bisogno, lasciando irrisolti gli aspetti davvero critici dei nuovi ingressi. La legge, infatti, impone restrizioni sia nei confronti dei migranti per motivi economici - ossia coloro che, come oltre 27 milioni di italiani nell’ultimo secolo, si spostano in cerca di un lavoro che consenta un miglioramento della propria condizione esistenziale –, sia verso chi fugge da guerre e persecuzioni.
Rispetto ai primi è importante ricordare che la Bossi-Fini abolisce il meccanismo dello sponsor, che dava la possibilità ad un italiano o immigrato regolarmente residente in Italia di “chiamare” un cittadino straniero garantendogli ospitalità, spese mediche, ed eventuali spese di rimpatrio. Lo straniero così “invitato” entrava con regolare visto e aveva un permesso di soggiorno per ricerca lavoro valido un anno, allo scadere del quale doveva aver regolarizzato la propria posizione lavorativa. Una procedura semplice, che aveva consentito a molti di venire a cercare – e trovare! - lavoro in Italia evitando i cosiddetti viaggi della speranza, vere e proprie costosissime odissee a bordo di gommoni, tir, navi malandate, durante le quali ogni anno un numero indefinito di persone perde la vita. Un istituto funzionante, dunque, ma caduto vittima di un’inspiegabile abrogazione.
E’ vero che sul versante del lavoro la Bossi-Fini, dietro pressione dell’area cattolica della maggioranza di Governo, ha previsto anche una grande operazione-sanatoria per collaboratrici domestiche e dipendenti a tempo indeterminato, ma ciò non basta a bilanciare i punti negativi della legge e soprattutto lascia irrisolti almeno due ordini di problemi: innanzitutto, avranno davvero interesse i datori di lavoro a far emergere i propri lavoratori stranieri “a nero” o piuttosto molti di essi – come testimoniano gli stessi immigrati che si rivolgono a sindacati e associazioni – preferiranno tenerli in quella particolare condizione di debolezza derivante dalla mancanza di documenti, che rende ogni lavoratore più “docile” e soprattutto meno costoso ? O, peggio, come ha già fatto qualcuno, preferiranno sbarazzarsene, pur di non metterli in regola? In secondo luogo, poiché la sanatoria funziona con il sistema del “chi c’è, c’è” e le nuove norme prevedono che d’ora in poi in Italia si potrà entrare solo con chiamata nominativa (proposta di assunzione fatta al cittadino straniero che si trova nel proprio paese di origine), come faranno domanda e offerta di lavoro ad incontrarsi ogni qual volta l’impiego offerto richiederà una conoscenza diretta? Chi assumerebbe una collaboratrice familiare o una baby-sitter senza averla mai vista?
Se con gli immigrati per lavoro la legge sembra profondamente ingiusta, anche per via delle limitazioni ai ricongiungimenti familiari, verso i rifugiati essa appare addirittura cinica. Lo Stato potrà infatti d’ora in poi detenere in speciali centri chiusi istituiti alle frontiere, e fino alla decisione sulla domanda di asilo, tutti i rifugiati giunti in Italia senza documenti e senza prove delle persecuzioni subite. Basta conoscere anche sommariamente il dramma di chi fugge da persecuzioni politiche per immaginare quanto sia inverosimile che tale fuga, spesso repentina, imprevista, sempre tragica, venga accompagnata da visti, regolari passaporti, o addirittura prove di persecuzione. Insomma, se la legge verrà applicata alla lettera una percentuale altissima di rifugiati – compresi i bambini, gli invalidi, gli anziani - verrà detenuta, senza mai aver commesso alcun reato, fino a quando il Governo Italiano avrà, mediante una commissione territoriale composta da un funzionario di prefettura e da uno di pubblica sicurezza, vagliato la domanda.
Intanto, alla vigilia dell’entrata in vigore delle nuove norme, l’ennesima tragedia della fuga: cinque Curdi Irakeni morti di asfissia nel cassone di un TIR proveniente dalla Grecia e diretto a Roma, altri quattro gravissimi. Un disperato tentativo di fuga finito male, un’altra vicenda drammatica ma non eccezionale, che ricorda come sia impensa-bile impedire i flussi migratori con norme amministrative quando la principale causa degli stessi risiede nell’umano istinto di sopravvivenza. Una storia di volti anonimi, di uomini che non meritano di essere definiti tali neanche post mortem (“5 clandestini uccisi in un TIR dalla mancanza d’aria”, hanno scritto i giornali), come se ancora alle loro salme servisse un permesso di soggiorno. Un ennesimo fatto che fa impallidire le nostre leggi di parole, le nostre burocrazie immemori dell’accoglienza che tanti e tanti Italiani hanno ricevuto in ogni parte del mondo. Italiani i cui volti, nelle foto color seppia di allora, assomigliano moltis-simo a quelli pieni di sofferenza e di speranza degli immigrati Maghrebini, Curdi, Albanesi, da cui oggi, pregiudizialmente, quasi tutti in Italia si aspettano solo crimini e pelle maleodorante.
Cosa succederà dopo l’entrata in vigore delle nuove norme? Gli immigrati “irregolari” continueranno ad arrivare, perché lì fuori, alle porte del Mediterraneo, c’è un mondo di oppressi e di poveri che preme, e soprattutto perché di questa gente l’industria, l’agricoltura, l’edilizia e l’economia domestica italiana non possono davvero fare a meno. Se davvero le coste saranno più pattugliate, i trafficanti alzeranno i prezzi e cercheranno nuove rotte, sempre più rischiose, per sfuggire alle motovedette di Stato. Qualcuno di noi avrà regolarizzato la propria colf, e si crederà più democratico. Molti si sentiranno meno a disagio nel parlar male dei nuovi venuti, perché avranno capito che, nell’Italia di oggi, di essere razzista non si vergogna più nessuno.

 


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