Dalla poesia erotica di giorgio Baffo, alla poesia celebrativa di Luigi Cerantola

Franco Vicenzotti

Ho il raro privilegio di contare tra i miei più cari amici Gigi Cerantola, compagno di baldorie, sbronze, avventure indimen-ticabili – alcune non confessabili – come un nostro mitico viaggio di scoperta dell’Afghanistan – prima dell’invasione sovietica - e dei mitici Budda (distrutti da barbari accecati dal fanatismo religioso) della Valle di Bamian.
Gigi Cerantola, attualmente incaricato di letteratura italiana presso la prestigiosa Università di Stato di Tokio, è un poligrafo, può scrivere con profonda cognizione di causa di letteratura greca e latina, o di arte medievale, o di cinema italiano contemporaneo, o dei giardini rinascimentali: praticamente non v’è aspetto della civiltà trimillenaria italiana in cui non sia versato.
Naturalmente ha una sua specializzazione: è autore di libretti d’opera - ricordiamoci che Da Ponte, il leibrettista di Mozart, era veneto – di cui uno musicato dal grande Donadoni, e raffinato poeta: il “limerick”, strofa di cinque versi di origine irlandese è il suo strumento espressivo prediletto.
Con questo articolo voglio presentare alcuni suoi “limericks” tratti da “Di Brenta e di Piave”, opera in cui Gigi Cerantola dichiara il suo coltissimo amore per la civiltà veneta. Da: “Di Brenta e Di Piave”

Preludio

“Se, a detta di Federigo Nietzsche navigante or è un secolo all’isola degli ardui cipressi, i popoli van giudicati siccome le stirpi dei volanti uccelli, ossia dalla bontà dei nidi che a se medesimi han saputo architettare, e che son per gli umani le città, allora le genti venete non hanno confronto. Perché chi mai suscitò dal fango una visione tanto miracolosa quale Venezia regina del mare e d’ogni sogno di terrena bellezza? Venezia-nido-tana-sesso/grembo dei Veneti e ora di tutte le nazioni della terra, ad essa migranti.
Ma gli uccelli suoi, che sono i Veneti amorosi dell’aria e dell’acqua e delle fronde verdi della primavera, nidificarono inoltre per la campagna di lenti fiumi gentili, per le colline di muschî ed erbe, per le montagne impallidenti nel vespero ad animar leggende di coboldi ed elfi, e ovunque “dove il Palladio rivisse antiche armonie nello splendore della sua nuova saggezza”.
Tra questi pigri fiumi beanti alla laguna-mollusco roseo che nasconde la perla più diafana dei mari, sorsero uomini inimitabili che allietarono il vivere delle genti loro, e tuttora alzano la fertile fronte a sfatar la stolta imagine d’un Veneto declinante di glorie. Perché tornano a popolarsi i colonnati candidi tra il verde, sì che, se fu grandezza l’età preterita, possono ora i Veneti, dalla pochezza economica affrancati, rivendicare il primato di civiltà che diramò superbo dalle lagune per le vene glauche dei fiumi alle concupiscenti chiarità dell’interne pianure. E più non osi alcuno pensare che l’ineguagliato eliso cui fu condotta questa terra naufragante alle velme, sia dono dei celesti e non parto operoso degli umani che pacificamente lo concepirono al lor vivere.
Ed anche levino i Veneti l’eloquio soave tra gli italici idiomi tonitruanti dall’etere sul vulgo che ne beve, schifandone l’Allighieri, le romanesche burinaggini e li toscanismi dittongoidi onde sentenzia il Dante “Prae ceteris Tuscum est turpissimum”; ché dolce infinitamente sovra l’altre è la favella che suona tra i portici di colonne e nei giardini “pieni di profumo e d’ombra” tra il Garda e le cupole gonfie di vento e d’oro dell’Evangelista-Pax tibi, Marce.

Di Brenta e Di Piava

Austria, Friùli, Garda, Lombardia,
Trentino, e la Romagna solatia,
Mar d’Adria, Mincio, Po;
questi confini so
alla terra che dico Venetìa. (1)
Acque e silenzî: cuna fu Aquileia
alla sirena veneta, alla naiade- -sposa del mar da quando
il barbaro nel fango (2)
con l’aquila abbattè l’antica gioia.

A

Che Tito Livio fosse nato ad Abano,
ab initio me lo parabolavano: ora tra i fumi e i fanghi
le flosce tette e i manghi
a rigonfiar tedesche ed eschi vagano. (3)
Caterina Cornaro ebbe ad Altivole
un Barco strepitoso: quante favole! dove adesso tra il verde
sopra i muri si perde
l’ombra del Bembo e fra Giocondo, fievole. (4)
Lanciò il cavallo sovra il ponte d’Arcole
il generale còrso aprendo un varco alla rivoluzione:
l’ale piegò il leone (5)
e chiuse l’evangelo di San Marco.

Nella casa del Petrarca ad Arquà
esala a maggio l’odor dei lillà,
e la rosa banksiana
salendo sull’altana
cerca il poeta che la coglierà. (6)
Dentro un sepolcro di vetro ad Arquà
la gatta del Petrarca a guardia sta:
i topi spia perché
non rodano alcunché
scritto dal vate alle future età.
Presso il convento di Sant’Anna ad Aso-
lo è sepolta Eleonora: io son persuaso
che sotto quella pietra
dorme col suo poeta, (7)
abbracciati tra i giglî del Parnaso.

B

Fece il Palladio un ponte per Bassano
a cavallo del Brenta: è bello e strano,
e credo che per questo
Da Ponte scrisse il texto (8)
che ognuno as: “Là ci darem la mano”.

C

Trans flumen Brentam in loco Campese
vatem Merlinum sepelierunt Musae,
qui, scribens macheronicum,
cantavit non platonicum (9)
amorem impresasque. Rosa rosae.
Nel Castello del Vescovo di Ceneda
un prelato sognai di stirpe veneta:
disse “Son quel Da Ponte
che battezzai nel fonte
il poeta di gente israelitica. (10)
Poi mi sembrò che in piazza a Serravalle
Lorenzo abate libertin le stelle
guardasse ad occidente
dicendo stranamente
“Vienna, Londra, New York: ecco il mio calle”. (11)
Lo so che sui palazzi a Conegliano
vai cercando l’azzurro ciel sereno
di Cima, ed io ti dico: (12)
“Non cercare l’antico
ma guarda sopra il colle qui vicino”.
Ma perché un limerick proprio a Cortina
che ci va solo gente da vetrina e sotto le Tofane
sciano quattro befane (13)
tutte soldi, estetisti e naftalina?

F

Tra l’Adige ed il Po vicino a Fratta,
nella luce più bianca e più disfatta,
Andrea Palladio stese
nell’abbraccio cortese (14)
la sua nuova saggezza stupefatta.

I

Da un falegname ad Isola Carturo
nacque il Mantegna: il suo percosso muro
grida agli Eremitani
i colpi americani (15)
dal ciel venuti a suo destino oscuro.

L

A Vienna il musicista di Legnago
sognò un Tempio alla Notte: l’era presago
di Grazie, di boschetti,
soavi zeffiretti, (16)
il cielo d’ogni ciel più azzurro e vago
Sulla collina fuori di Lonigo
lo Scamozzi elevò per altrui svago
quella Rocca Pisana
che sembra su un’altana (17)
una contessa. Andateci, vi prego.

M

La prima volta che si va a Maser,
inevitabilmente si va per
la villa e la pittura.
Io no: l’architettura (18)
del tempio mi pietrifica il pensier.
Su tutti i libri è scritto che a Mogliano
è nato Piranesi: a lui il romano
mondo antico sorrise,
lui lo adorò ed incise
con furore d’artista veneziano. (19)
Ettore Schmitz correva verso Motta
e usci di strada a Gorgo: per la botta
si spense, maledetta!
l’ultima sigaretta,
e a Zeno la coscienza galeotta. (20)

N

Sotto i cieli del Tiepolo a Nervesa
Gadda vide la funebre distesa dei corpi nel dolore
e abbominò il colore (21)
che fu alla veste del chirurgo offesa.

P

Se vai nel Prato della Valle a Padova, senti quant’è grande ora il degrado:
Ruzzante e Galilei
a scribi e farisei
cedono il passo. Io muto me ne vado.
D’inverno a notte la città del Santo
profuma di segreto calicanto:
sta nascosto negli orti
in fondo ad archi e portici che fanno nel buio un quieto incanto.
Del gran Tiziano a Pieve di Cadore
c’è casa e monumento, e c’è il colore
nelle selve dintorno;
poi, quando muore il giorno, (22)
le Marmarole in alto, rosee e nere. Quando, varcato il Piave, arrivi a Ponte,
cerca a destra sull’argine le impronte
di Goffredo Parise: qui scrisse, amò, e sorrise (23)
a lui quest’onda e l’altra d’Acheronte.
Nel colonnato candido a Possagno ove spaziano i colli all’era benigno,
ove d’amor s’infiora
l’eliso, entra ed adora
il divino Canova, il santo regno. (24)

S

A San Vito d’Altivole i cipressi
sul lago del nirvana hanno i riflessi
del fior di loto: l’arpa
d’un dolce vento tarpa (25)
le memorie del tempo, ermi recessi.
In Veneto non più, lo so, è Sirmione,
ma veneta è in Catullo l’elusione
verso la poesia:
eros, malinconia,
tedio, furor di gloria, delusione. (26)
Lungo la villa dei Pisani a Stra
l’acqua del Brenta estatica che fa
da metà settecento?
Riflette quel portento
che il Tiepolo dipinse: azzurrità. (27)
Pel signor del castello a Susegana
arse la poetessa padovana
e all’amorosa vampa
scrisse Gaspara Stampa (28)
un Canzonier. Lui disse “È una puttana”.

T

Sul lago innanzi a Torri del Benaco
guarda tra il verde dei cipressi opaco
a occidente: fatale
vigila il Vittoriale, (29)
d’amor, di guerra, d’estasi ubriaco.

V

Se vai sui campanili di Venezia, vedi Alpi e Po, pianura e mar, Croazia,
Adige, Brenta, Piave,
terre lombarde e slave, (30)
finno all’isole d’Istria e di Dalmazia.
Ci fu un’età serena: Serenissima
visse e trionfò una donna iperbellissima;
Ora sull’acqua verde
le sue memorie perde
nella fuga degli anni rapidissima.
Non pel Mantegna venni a te Verona
né pel pittor che nel tuo nome suona,
ma pei divini arbusti
di quel giardino Giusti (31)
che oltre l’Adige glauco t’incorona.

Ho sognato che il corso di Vicenza
era diritto, deserto, muto, e senza
teatro del Palladio:
un bianco vuoto armadio (32)
aperto a quella spaventosa assenza.

Z

Lo scrittore d’America a Zenson sopra Fossalta, lungo il Piave, non
vide più nulla, un rombo
esplose dentro al fango: (33)
Passini urlò “Gesù, Maria, perdon”.
Tra Garda e mar contien la terra veneta
nomi d’ogni estrazione, nota e incognita:
sdruccioli, storpî, tronchi,
barbari, arcaici, monchi,
con nessun’altra rima che li limita.
Pero Perer Peraro Perarolo
Lauro Olmi Spin Onara Nogarolo
Álbaro Fagarè
Rosara Sambughè
Salgareda Stroppari Ficarolo.
In questa terra antica che nel tenero
verde, disvaria fino all’Adriatico,
fino al gran padre Po,
chiedimi come sto,
e ti risponderò “Son vivo e veneto!”.

NOTE

1. Vedi Giovanni Pascoli, Myricae, Romagna v. 57
2. Aquileia fu città romana la più potente nel nord Italia: nel 451 fu presa da Attila. Parte della popolazione si spostò allora nel porto di Grado e quindi nella laguna, dando origine a Venezia.
3. Gli istorici togati propendono a che il Livio celeberrimo nascesse in fra le terme d’Aponum, città frequentatissima ora dalli teteschi lurchi spezialmente.
4. Del Barco d’Altivole costruito a fine ‘400 per Caterina Corner, vedova del Lusignano re di Cipro, la qual vi tenne corte e godimenti di che favoleggia la plebe, non rimane che melanconico lacerto: scomparsi giardini e fontane che dilettarono il Bembo e il Giocondo e il Zorzon e fors’anche ser Lionardo.
5. Il 15 ottobre 1796 Napoleone, fatto gettare un ponte all’altezza di Ronco, tentò di passare l’Adige trovandovi fiera resistenza austriaca: è fama che egli stesso allora spronasse il cavallo sul ponte, fischianti le pallottole nemiche, e raggiungesse l’altra sponda ottenendo in Arcole vittoria.
6. È la Rosa Banksiae, la qual torciglia pampinosa e rampa alla dimora del vate amoroso che dicon l’abbia piantata, tanto chi ci crede lo si trova sempre.
7. Eleonora Duse (1859-1924) detta la Tragica dall’Ariele d’Abruzzo che l’amò e celebrò nel Fuoco.
8. “Sul ponte di Bassano / là ci darem la mano” suona la nota canzone parodiante in tutto l’immarcescibile duetto di don Giovanni e Zerlinetta, e ne fa memoria in sul ponte una lapide.
9. Teofilo Folengo (1491-1544) ovver Merlin Cocai peregrinò per l’alma Saturnia tellus e tornò infine nelle terre beate della Dominante a limar, confortato dalle vergini muse, l’Opus Maccaronicum.
10. Il 29 agosto 1763 il vescovo di Ceneda, ora Vittorio Veneto, battezzò nel fonte Emanuele Conegliano degnandolo del nome suo che fu Lorenzo Da Ponte.
11. Lorenzo Da Ponte era nato a Ceneda il 10.3.1749. Studiò in Venezia e migrò di poi in Vienna, in Londino, in Nuova Yorka ove tentò, udite udite!, d’insegnar la favella del Dante a que’ tapini.
12. Giovanbattista Cima da Conegliano (1459-1517) dipintor di Madonne sognanti in paesaggi venetissimi: celebre la ‘Madonna dell’arancio’ all’Accademia di Venezia, ove s’erge il Castello di San Salvatore a Susegana, ermo e turrito.
13. La bellezza di Cortina, cui pure convennero forti intelletti, non merita lo sgomitar dei papaveroni del soldo e della politica con le lor femmine-cartapecore ed alberi di natale orgasmanti al luccicar di patacche, quali in Odio, Sillabario II, ne scrive a recere il Parise.
14. Nel 1556 il Palladio eresse una sontuosa villa per ‘il magnifico signor Francesco Badoero ad uno suo luogo detto la Frata’. Così il Vasari: candida e perfetta di nuova saggezza essa regna la vasta uniforme pianura.
15. Gli affreschi che Mantegna iniziò nel 1448 nella Cappella Ovetari agli Eremitani di Padova, ‘lavoro eccellente per le meraviglie della prospettiva’ come il Montesquieu stupefatto mirò nel 1729, furono atterrati da bomba anglo-americana B17 l’11 marzo 1944.
16. Antonio Salieri nacque in Legnago il 1750, morì a Vienna il 1825. Indiscutibile la sua grandezza. Qui si cita la ‘Armonia per un Tempio della Notte’.
17. La Rocca Pisana fu costruita da Vincenzo Scamozzi nel 1576, con debito evidente alla Rotonda del Palladio.
18. Il Tempietto annesso alla Villa Barbaro di Maser è, a detta dei moderni deduttori, opera ultimissima dell’Andrea, che i più credono abbia reso l’anima sublime a Dio proprio in Maser, il 19 agosto 1580.
19. Giovabattista Piranesi (1720-1778) fu incisore massimo dell’età sua e restitutor del classicismo antico in architettura.
20. Ettore Schmitz voltò il barbaro nome in Italo Svevo e novellò sue paturnie infinite in ‘La coscienza di Zeno’ che chiaramente è lui, facendone capolavoro-strano fiore.
21. Il Gadda compose favola tragica e pietosa (Il primo libro delle favole, 82) in cui allunga l’inopinata diastole d’allùci. Il Tiepolo avea dipinto d’azzurrissimi cieli e diafano trasvolar delle nuvole la volta della villa Soderini nel 1754; distrutta dai mortaî del 1917. Per il sangue sulle tuniche dei chirurghi vedi anche ‘Il castello di Udine, Imagine di Calvi’.
22. Le Marmarole son vette dolomitiche che coronano la patria del divino Vecellio, il qual le eternò col roseo color del tramonto nella ‘Presentazione al tempio’ dell’Accademia veneziana nel 1535.
23. Goffredo Parise (1929-86) trovò remitaggio tra l’ombrie folte della sponda sinistra del Piave, nel Veneto di muschi e nebbie tra Ponte e Salgarega, ove lo visitarono le muse e la morte.
24. Sul colle di Possagno e dominante la casa natale del Canova spande sua classica armonia il tempio che il sommo artista elevò a dio, ai lari, alla patria. Dentro sta il sepolcro di lui e la testa potente a se stesso nel marmo formata.
25. Carlo Scarpa architettore costruì in San Vito un camposanto che ha limite al rigoglio del granturco e al profilo giorgionesco dei colli asolani; e lui medesimo, defunto al Cipango, vi dorme sotto l’erbe sepolto, all’impiedi.
26. Gaio Valerio Catullo nacque verso l’anno 87 ante Cristo in Verona: cantò l’amore, la gioia, il rimpianto, e la morte del fratello in Oriente, ove peregrinò nel 57 all’isole d’Egeo, alle favolose città dell’Asia.
27. Alla Villa Pisani di Stra il Tiepolo affidò nel 1761 l’estremo capolavoro prima di partire alla Spagna di Carlo III: e vi azzurrò gli ultimi cieli, le ultime nuvole trasvolanti di angeli canori e nudità inenarrabili.
28. Gaspara Stampa (1523-54) fu poetessa veneta nel più dorato ‘500 e celebrò Collaltino di Collalto che in nulla corrispose all’indomata passione trabocchevole dai 311 componimenti delle Rime della saffo patavina.
29. Il Vittoriale di Gabriele D’Annunzio s’adagia tra gli ulivi di Gardone sulla riva ponente del lago; nell’arca petrosa dorme il vate sognando le gesta d’oltremare.
30. La visione apparve a Charles des Brosses dal campanile di San Marco nel 1739, quando visitò la Dominante; ne fan fede le sue ‘Lettres familières écrites en Italie’.
31. Il Giardino Giusti è recesso agli spiriti beati che cantano nell’Orfeo del Willibald Gluck. E vi sostò Wolfgango Goethe pellegrino alle glorie d’Italia, carpendone fronda del cupo cipresso, pianta di Venere.
32. Il teatro che Palladio costruì in Vicenza, appresso alla chiesa di Santa Corona ove lui fu sepolto, ha il nome d’Olimpico, e veramente non pei mortali par fatto ma agli eterni del cielo.
33. Ernest Hemingway (1899-1961) fu in guerra contro il tedesco disceso alle pianure dopo la rotta di Caporetto nel 1917, e n’ebbe ferita e medaglia. Il qual tutto epicamente è narrato in ‘Addio alle armi’.

 


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