L'Umanità in Comunione con la Natura

Padre Teólogo Joãp Batista Libanio


Il suo impegno teologico mi sembra di grande ricchezza, rivolto com’è verso le forme tradizionali e quelle più con temporanee. La teologia clas sica – per così dire – e quelle della libertazione. Com’è avvenuta questa sintesi?
La mia formazione si basa sulla Scolastica classica e su quella neoclassica restaurata da Leone XIII. Ma era già in andamento dopo la II Guerra Mondiale una “Nouvelle Théologie”, praticata dai ge suiti di Lyon-Fourvière e dai domenicani di Saulchoir. E in Germania, dove ho preso la laurea e la licenza in Teologia (post-laurea), K. Rahner e l’esegesi moderna attuavano
con arie rinnovatrici. Quindi era già una Scolastica aperta alla problematica della modernità europea. Terminata Teologia, ho vissuto a Roma gli anni del Concilio VaticanoII. Regnava un clima teologico caratterizzato da due opzioni radicali: pensare l’ontologia in relazione alla dialettica con la storia esuperare
una lettura dogmatica della rivelazione per un pensare ermeneutico. Erano date le due condizioni teologiche di possibilità della nascita della teologia della libertazione.
La prima relazione tra ontologia e storia muoveva la domanda esclusiva per l’essenza delle verità, per le domande che la fede faceva alla propria fede, per motivi che venivano fuori dalla storia, dalla realtà culturale e sociale nell’esattezza del linguaggio, moltiplicando le distinzioni e sottodistinzioni all’infi nito. Con ciò, diveniva sempre più sterile e senza signifi cato per le persone immerse nella problematica moderna.
Le ventate di storicità hanno apportato altre questioni che hanno obbligato ad una riformulazione concettuale, dialogando con le fi losofi e moderne, specialmente quella di Kant, di Hegel e degli esistenzialisti. Questo esercizio intellettuale ci ha aperti ad un pensiero moderno. Non era ancora una sensibilità per la concretezza dei problemi sociali, ma la percezione delle questioni che la scienza, le fi losofi e, le scienze umane, il pensare storico provocavano.
Tale situazione ci ha aiutati ad entrare nel mondo della prima ermeneutica, cioè, quella che fa la seguente domanda: che signifi ca tale verità per l’uomo e per le donne moderne? Essa rompe la lettura dogmatica che si preoccupava con la verità in sé, per la sua essenza, per interessarsi al significato.
Con queste due svolte teologiche, coll’immergerci nella realtà latinoamericana, in cui le principali domande nascevano dal confl itto tra una situazione di dominazione e libertazione, non ci è stato diffi cile modifi care le risposte. A nuove domande, nuove risposte. Ma la struttura basica della relazione fra ontologia e storia, e la svolta ermeneutica rimanevano. La teologia della libertazione è una seconda ermeneutica. Invece di domandare il signifi cato di una verità di fede all’intelligenza moderna, domanda questo stesso senso, ma ora in una si tuazione di oppressione-libertazione. È un’interpretazione moltiplicativa, che prende il risultato dell’ermeneutica euroche subiva enormi trasformazioni nel dopoguerra. La neoscolastica, insegnata quasi esclusivamente in latino, aveva mantenuto domande interne allo stesso pensare teologico. Era estremamente concettuale, e primeggiava dovuto al rigore pea e la sottomette ad un’altra interpretazione a partire dalla pratica della libertazione. Ma senza la prima, l’altra sarebbe impossibile. La scolastica ci ha dato la sensibilità attraverso l’ontologia. La teologia europea attraverso il significato e la teologia della libertazione attraverso la prassi liberatrice.
La chiesa, ai giorni nostri, come viene disegnato il suo profilo e in quale direzione indica la barca di San Pietro?
Ad una domanda così ampia e complessa rispondo appena a rapide tracce. Attraversa la vita interna della Chiesa una tensione fondamentale tra due movimenti. Uno parte dal centro – romano, diocesano e parrocchiale – verso il resto del corpo. Esso accentua la centralizzazione per garantire l’identità
cattolica, sottomessa al processo centrifugatore della postmodernità filosofica e religiosa. Si teme il “relativismo teologico e ecclesiologico”, la cui espressione più forte appare nella teologia pluralista del dialogo interreligioso in opposizione all’inclusivismo della teologia della preparazione evangelica e di rifinitura. La Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo. Ha la pienezza dei suoi elementi. A tutte le altre manca qualche elemento fondamentale.
La Dichiarazione Dominus Jesus caratterizza tale posizione. Un altro movimento che ha origine dalla partecipazione della base e della periferia
in un processo di salita e di comunione con i centri. Si accentuano
la comunicazione e il dialogo con le Chiese, con le religioni e con le etiche umaniste. Con le Chiese cristiane che conservano l’Eucaristia si cerca un’intercomunione verso l’unione completa per la riformulazione dell’esercizio del ministero di Pietro. Espressione di questo movimento appare
nell’Enclicica Ut unumsint e nella Lettera Apostolica Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II. E un’altra versione di questo doppio movimento
decorre dalla discussione tra il Cardinale Ratzinger e il Cardinale Kasper sulla relazione tra la Chiesa universale e la Chiesa particolare. La Chiesa
cattolica disegna sul campo sociale un altro profilo. Ha mantenuto un dialogo aperto con i problemi sociali. Dopo la caduta del socialismo, significa
una voce profetica di critica al monopolio del capitalismo nella sua espressione neoliberale. Difende il senso primevo del destino sociale dei beni, al quale tutte le proprietà private pagano un’ipoteca sociale. Attribuisce una precedenza di lavoro in relazione al capitale. Si oppone radicalmente a tutte le guerre in pro della pace. Dedica gli sforzi della diplomazia alla pratica della giustizia sociale in modo speciale rispetto ai paesi poveri e indifesi. Malgrado
la Chiesa cattolica stia passando per un’invasione di movimenti religiosi carismatici a scapito dell’opzione per i poveri, però conserva questa tradizione evangelica e di culto a Gesù nelle sue dichiarazioni e in molti dei suoi movimenti e pratiche.
Uno dei suoi ultimi libri si occupa dell’arduo compito di evangelizzare la città, dalle pastorali alle prediche, passando per una riflessione del paradigma, e così via. Sarà più facile – come Santo Antonio – predicare ai pesci?
La città si è trasformata non soltanto nel luogo fisico delle immense masse umane dovuto al rapido processo di fuga dai campi, di urbanizzazione e di industrializzazione, ma anche nel “locus regulador” di tutta la vita della società, anche nelle aree rurali. La cultura di massa e mediatica è radicalmente urbana. L’evangelizzazione passa obbligatoriamente attraverso questa cultura. Ma la realtà non è così semplice. Anche essendoci
questa profonda urbanizzazione e secolarizzazione, matrici religiose premoderne, influenze di religioni primitive vengono a cavallo nella globalizzazione diffusa dalla telematica, producendo un eclettismo difficile da analizzare. C’è una forza strutturante moderna e postmoderna che, però, organizza dentro le persone elementi eterocliti. Si parla di una religione à la carte. L’appetito è l’unificatore, ma gli alimenti offerti sono un immenso self-service. Il rischio è quello di mantenere l’identità esterna con una confusione interna senza pari. Le istanze di potere osservano spesso l’ortodossia dei riti e formalità, senza rendersi conto di ciò che esse significano veramente. Si introduce anche furtivamente un doppio linguaggio. Linguaggio ortodosso con significati eterodossi o linguaggio ortodosso con pratiche contraddittorie, senza che ciò caratterizzi apostasia. Carlos James ha chiamato tale situazione “scisma bianco”. Scisma, perché non c’è una comunione reale e di prassi. Bianco, perché non si consuma nessuna rottura esterna né violenta. L’evangelizzazione nella città dovrà affrontare con tali paradossi, sorpassando l’esteriorità, non lasciandosi sedurre da essa, andando più a fondo nel vero significato dei riti, degli insegnamenti e della prassi.
Crede che l’attuale momento della Chiesa e delle sue non piccole difficoltà rappresenti la maggior crisi che essa vive dopo Pio IX, in termini di identità e adesione dei suoi fedeli?
È difficile paragonare grandezze di crisi. Importa prima per cepirne l’originalità e le forze di cui disponiamo per affrontarle. La sensazione di gravità della crisi attuale si fa sentire più fortemente perché succede nel fino ad ora cuore della cultura cristiana occidentale: l’Europa. Nel 1943, H. Godin e Y. Daniel hanno scosso il mondo cattolico francese con il provocativo libro Francia, paese di missione? Tale sfida è valsa per altri paesi. Allora, la de-cristianizzazione era provocata dal fenomeno dell’industrializzazione e dell’emigrazione degli operai nel seno della Chiesa. Quello che succedeva negli anni ’40 ha attinto proporzioni gigantesche ai giorni d’oggi. Malgrado il fenomeno di massa di Giovanni Paolo II, l’appartenenza alla Chesa cattolica rispetto alla fede e alle pratiche religiose si è ridotta nei paesi centrali dell’antico cristianesimo. Esso si sposta verso il Terzo Mondo, tanto latinoamericano quanto asiatico e africano. E questo implica in una profonda trasformazione della sua forma storica. Il matrimonio intimo tra cristianesimo e cultura occidentale europea tende a disfarsi, sia perché la stessa cultura occidentale è entrata in crisi di proporzioni gigantesche mai viste, sia perché nuove forme di cristianesimo vengono annunciate in altre culture. Questo
spostamento non si fa senza smuovere la struttura stessa del cristianesimo nei termini delle categorie filosofiche e culturali in cui esso si è espresso e delle strutture organizzative. Il punctum dolens è la centralità romana. La forma di sottomissione e dipendenza con cui le Chiese private si sono poste di fronte al centro romano ha prodotto un logorio alla Chiesa cattolica. Gli manca la necessaria creatività, l’autonomia di iniziative e l’audacia di soluzioni per affrontare i nuovi problemi che vengono dall’ethospostmoderno di estremo individualismo, di condotte nel campo familiare e sessuale distanti dalla tradizionale morale cattolica. Le tecnoscienze, che attuano specialmente nel campo della vita, hanno rilevato problemi di bioetica che sfidano l’intelligenza cristiana. Nel campo sociale, la povertà di paesi e continenti, le trasformazioni delle relazioni sociali, attingono profondamente l’agire cristiano.
Quale sarà il futuro della Chiesa? In che direzione cammina?
La fede cristiana ha la garanzia della presenza del Signore fino alla fine dei tempi. La Chiesa si è creata partecipando a questa promessa, malgrado le sembri inquietante l’interrogativo di Gesù: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” Jean Delumeau ha dato un intrigante titolo ad una delle sue opere: Il Cristianesimo, morirà? Un vescovo anglicano
americano considera la crisi dei tempi della Riforma come “una festa da neonati” se paragonata agli scontri che sembrano dover provenire dalle
Chiese cristiane. Quello che certamente non gode di certezza è la continuità della forma storica che le Chiese cristiane hanno assunto in Occidente. Il futuro della Chiesa si gioca in altre culture e in altre configurazioni storiche. Quando si rompe l’ossatura occidentale del Cristianesimo, abbiamo l’opportunità di scoprirvi con maggior chiarezza gli elementi irrinunciabili che si perpetueranno in altre figure. È la dialettica dell’identità cristiana e delle forme storiche. Nella transitorietà delle espressioni rimane il cerne d’identificazione del Cristianesimo. E la domanda viene subito: e qual è? Tanti e tanti scrittori si sono sforzati a descriverlo. Guardando dall’America Latina, senzanessuna pretesa di originalità, il futuro della Chiesa ci si presenta sotto forma di rete di comunità impegnate nel processo
di libertazione dei poveri al seguito del Gesù storico. Vediamo gli elementi basici. Al centro c’è il Gesù storico che ha preso su di sé l’impegno con l’umanità fino all’estremo di rimettere la vita per tutti. E in questa remissione, sceglie il cammino dei poveri, vivendolo lui stesso e convivendo coi poveri del suo tempo, annunciandogli come regalo il Regno di Dio. Qualunque persona che legga le beatitudini rimane intrigato con il cambiamento del tempo. In tutte esse, il verbo è messo al futuro, eccetto in quelle dei poveri. Di essi è il Regno di Dio. I buoni, misericordiosi, pacifici, puri di cuore, coloro che piangono, che soffrono sete di giustizia, i perseguitati lo avranno nel futuro,
nel cielo. Ma i poveri già lo possiedono, perché il Signore ha scelto loro. E il futuro della Chiesa è fare la stessa scelta. Ma in che modo viverla? Nella solitudine individuale di ogni fedele secolarmente impegnato coi poveri, come cristiano anonimo? No. In comunità. E la comunità si riunisce alla base
e si articola in una rete crescente, non intorno ad un ministero ordinato, ma avendolo come suo servitore e animatore. Lì dentro non sempre il tipo attuale di ministero ordinato si troverà bene. Una Chiesa, rete di comunità, richiederà nuovi tipi di ministri, un nuovo tipo di disciplina ecclesiastica, decentralizzata, versatile, aperta alle esigenze della realtà sociale.
E le alleanze si faranno con i movimenti sociali il cui progetto-sogno è una comunità in comunione rispettosa con la natura e dove possano entrare
tutti i poveri.

Traduzione di Cristiana Cocco

 


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