La maggior scrittrice bulgara vive a Rio de Janeiro

Intervista di Juliana Berlim


Un mare di storie: così può defi nirsi la vita, l’opera e le idee della giornalista, scrittrice e sceneggiatrice Svoboda Batcharova, una delle più rilevanti personalità culturali bulgare nel XX secolo, che ha dovuto lottare molto per il diritto di narrare la sua traiettoria personale, che si confonde con quella dei popoli dell’Est Europeo durante il regime socialista. Tutto ciò viene raccontato, in alcune ore, nell’appartamento della sua famiglia – una base bulgara nei tropici – a Rio de Janeiro, dove si è trasferita dopo il matrimonio della sua unica fi glia, Elitra, con un brasiliano.

Juliana Berlim - Sembra che fi n dall’inizio la sua vita sia stata piena di singolarità. Ci racconti qualcosa della sua infanzia.
Svoboda - Penso di essere stata la prima neonata bulgara emigrante politica fi n dagli otto mesi d’età, perché mia madre, mio padre ed io siamo dovuti fuggire dal nostro paese dovuto alla persecuzione fascista, visto che i miei genitori avevano partecipato ad atti rivoluzionari contro il fascismo e mio padre, in particolare, aveva fatto parte della resistenza antifascista. Siamo dovuti fuggire con passaporti falsi e, per evitare che io piangessi, mia madre ha bevuto un bicchiere di cognac, dopo mi ha allattato affi nché bevessi il suo latte. E durante tutto il viaggio dalla Bulgaria a Vienna ho dormito come un neonato ubriaco di cognac. Questa è stata la mia prima avventura. Nel 1937, ci fu una gran manifestazione per la pace in Francia e i miei, insieme ad altri esiliati, vi hanno partecipato. Dopo di ciò la polizia venne immediatamente, li arrestò e disse: “ Se volete, voi potete partire per la Germania, se volete, potete par-
tire per il Belgio, ma la Francia per voi è fi nita”. E siccome loro sapevano il
francese fi n dai tempi di scuola, hanno passato la frontiera verso il Belgio.
Il Belgio ci accettò molto bene. Sono stati tempi diffi cili, ma, con l’aiuto di
amici, mia madre ottenne un impiego. Ma comunque era l’esilio.
Juliana - Parli della sua traiettoria politica.
Svoboda - In Bulgaria c’era il regime fascista. Abbiamo lottato contro il fa-
scismo. Alla fi ne ho terminato la scuola, visto che in Bulgaria ero entrata nel Konsomol (partito della gioventù comunista). In quel momento, tutta l’Europa era comunista. Io partecipavo ai movimenti antifascisti e scambiavamo regolarmente lettere con mio padre. In effetti, avevamo una corrispondenza straordinaria e una delle mie maggiori tristezze è stata il giorno in cui mia nonna l’ha distrutta. Io tenevo queste lettere, insieme ad altri oggetti antifascisti, in un luogo ben nascosto, che solo io e lei lo conoscevamo. Quando venne la polizia, lei le bruciò. Mi lanciai pure nel fuoco nel tentativo di salvarle, ma non fu possibile.
Juliana - E che successe a suo padre in Belgio?
Svoboda - Io già ero nel campo di concentramento quando ricevetti dall’ambasciata belga una notifi ca, in verità non era un messaggio belga, ma sì dell’ambasciata bulgara in Belgio indirizzata all’ambasciata belga in Bulgaria. I fascisti avevano trovato mio padre e l’avevano ucci so, dovuto alle sue lotte accanto ai nemici dei tedeschi nella resistenza belga (il padre della sig.ra Bratcharo va era un elemento importante della resistenza belga durante la Seconda Guerra Mondiale). Quando mia madre lo seppe, disse: “E’ una bugia, non è vero”. Noi non credevamo a ciò che ci dicevano in prigione. Nel campo ricevevamo comunicati che avevano la pretesa di diminuire la nostra resistenza. Infi ne, prendemmo quella notizia come falsa. Mia madre diceva: “Non piangere, è una bugia, lui è vivo”. Io ho avuto una speranza, ma non era molto: ero quasi sicura della sua morte. Mia madre diceva: “Vedrai, vedrai, vedrai”. Naturalmente, non l’abbiamo visto.
Juliana - Com’è stato il suo periodo in Russia?
Svoboda - Venne la vittoria contro i tedeschi, terminai l’ultimo anno di
scuola e fui mandata con un grande gruppo di ragazzi, di ragazze, che
avevano partecipato alla resistenza antifascista, ci mandarono a studiare
nell’URSS. E lì cominciò la tragedia della mia vita. C’era il fascismo rosso.
Nel 1946, arrivando là, rimasi esterrefatta: quanta fame, quanta miseria.
Eravamo a Leningrado. All’università, studiai giornalismo e c’erano studen-
ti rumeni, polacchi, serbi, tedeschi, qualche francese, mongoli, coreani.
Mi hanno arrestata quando ci fu la seconda “depurazione” in URSS, su-
bito dopo la Seconda Guerra, sotto i comandi di Stalin. Tu non puoi im-
maginare cosa sia una “depurazione” sovietica. Non c’era un unico posto
dove non avessero cercato. Perquisirono case, alloggiamenti studente-
schi, leggevano lettere, giornali. La prima azione sovietica fascista. 750
persone, tra professori, studenti, altri professionisti, il meglio dell’univer-
sità, molti nomi importanti di generazioni anteriori alla rivoluzione. In
quell’istante cominciò quello che i cinesi avrebbero ripetuto: riunirono
tutta l’università nell’auditorium per una grande conferenza. Chi leggeva il
testo era il segretario del partito Konsomol. Fummo accusati dei peggiori
peccati. Da lì ci portarono in prigione e con molti fecero quello che fanno
sempre: esilio, morte. Volevo suicidar mi, mi ammalai. Io non potevo parla-
re, non riuscivo a mangiare, non potevo fare niente, rimasi così durante sei
mesi, sei mesi durante i quali i miei amici badarono a me. Grazie al loro
aiuto ho potuto recuperarmi.
Juliana - Come e quando lei ha cominciato a scrivere i suoi libri?
Svoboda - Sono nata nel 1925. Ho cominciato a scrivere nel 1961, a 36 anni. Fino ad allora ero una giorna lista, scrivevo sul supplemento culturale del giornale. In questo primo momento diventai conosciuta in tutta la ulgaria dovuto al mio lavoro al giornale. Il primo libro racconta come cominciammo a avere contatto con le condizioni del campo di con centrazione russo installato nella mia città natale e come liberammo Ivan Vaitchuk, il primo prigioniero nel campo. In realtà, io parlo della mia vita nei miei libri, tutta la mia esperienza. Non sono proprio biografi e, ma sono fatti relativi alle mie esperienze. Ho altre opere che sono vere memorie, soltanto memorie.
Juliana - Quali sono stati i fatti successi durante la pubblicazione del suo secondo libro?
Svoboda - Con il mio secondo libro è successa una grande catastrofe. Sta-
volta avevo scritto un volume di racconti e, come sfondo a queste avven-
ture, sempre cose che avevo già vissuto, gli accadimenti del mio soggiorno
a Leningrado. In questo libro racconto uno dei miei ricordi più forti, vissuto
durante il mio soggiorno in Russia. Il
potere sovietico aveva arrestato i collaboratori del generale Guayzos, un generale sovietico che fi nì per schierarsi dalla parte dei tedeschi durante la Seconda Guerra. Quando la guerra è fi nita, noi (i comunisti) abbiamo vinto e lui è stato arrestato e fucilato. Bene, c’erano soldati di Guayzos che erano di Leningrado. I comunisti li catturarono, arrestarono, giudicarono. Erano sei o sette persone, è stato il primo processo nella città contro i nemici della Russia. Dopo il pro-
cesso, hanno comunicato alla popolazione che, nel Campo di Marte, i condannati sarebbero stati impiccati e, se per caso la popolazione volesse
vedere come erano puniti i traditori, sarebbe potuta recarsi là. Appoggiata
sulle spalle dei miei amici, al di sopra della folla, ho visto gli alberi dove dovevano impiccare le vittime. C’erano sei condannati. Hanno cominciato.
Terribile, un silenzio assoluto, come se non ci fosse nessuno. Questo mio
secondo libro l’ho chiamato Ce qu´on va aimer toujours (Questo è ciò che
ameremo per sempre, inedito in Brasile). Il libro è stato anche stampato, ma
qualcuno ha telefonato e non so com’è successo. Il dubbio dei burocra-
ti era il seguente: come era possibile pubblicare un libro dove venivano
riportate impiccagioni, dove venivano mostrate crudeltà. I burocrati sono
l’ultimo gradino della scala dell’inferno, e la burocrazia sovietica era
l’inferno. Sono andata a parlare con il segretario delle Questioni Ideologico-Culturali dell’Ambasciata Sovietica e lui mi ha detto: “Svoboda, ti rispetto
molto, ma devo dirti che il tuo libro verrà bruciato.” Eravamo veramente
sotto il potere di Stalin. Sono uscita e ho cominciato a piangere. Per fortuna, mio marito era medico in un policlinico che si trovava nello stesso quartiere della fabbrica di carta. Gli operai della fabbrica, a cui erano già stati inviati i volumi del mio libro da bruciare, ne hanno nascosti sei per consegnarli a mio marito. Grazie a quegli operai, ho avuto l’opportunità di avere qualche volume. Sono diventata quasi pazza. Ma alla fi ne è passata, ho comincia to altre cose che dovevo fi nire, che ho già terminato, che devo fi nire.
Juliana - Parli dei suoi fi lm.
Svoboda - La mia prima sceneggia tura si intitola Entre les railles (Tra i binari). È autobiografi ca. Questo fi lm ha vinto il premio al Festival di Venezia, abbiamo vinto il Leone d’Ar gento. È stato il primo fi lm bulgaro a ricevere un premio in Europa e il pri mo del territorio socialista. Ma il fi lm più popolare in Bulgaria è una com media. Questo fi lm, di gran popolari tà fi no ad oggi, si intitola Le charme dangeroux (Lo charme pericoloso, considerato uno dei migliori fi lm bulgari di tutti i tempi), e ha ricevuto due premi al Festival di Film Umoristici Satirici in Francia, il primo premio in Spagna, un altro in Italia e fi no ad oggi ha successo.


Traduzione di Cristiana Cocco

 


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