Esilio: il trauma del ritorno

Paolo Targioni


“Ho capito qual è l’unico significato che al giorno d’oggi può avere l’amicizia: è indispensabile all’uomo per il buon funzionamento della sua memoria. Ricordarsi del proprio passato, portarselo sempre dietro è forse la condizione necessaria per salvaguardare, come si suol dire, il proprio io” .


Così Milan Kundera, scrittore boemo che vive a Parigi e che da anni ormai scrive i suoi romanzi in francese, sua lingua d’adozione, spiega la nozione di amicizia nel suo libro “l’identità”. Secondo Kundera l’amicizia serve all’uomo basicamente come sostituto di una memoria labile. Anche Enrico Mreule, il protagonista Un altro mare, di Claudio Magris, “si trova a dover fare i conti con la memoria e con gli amici nel momento in cui decide di esiliarsi in Patagonia. Enrico Mreule, grecista e filosofo se ne va dalla sua nativa Gorizia asburgica all’inizio del secolo passato per stabilirsi in Patagonia, dove passerà molti anni badando solo a delle vacche. La sua storia è ben differente da quella di milioni di altre persone che nello stesso periodo, spinte dal bisogno e spesso dalla fame, hanno fatto lo stesso viaggio: lui cercava di raggiungere la “persuasione”, uno stato quasi di grazia, la mancanza totale di bisogni, l’astrazione totale dalle necessità, una virtù decantata dal suo grande amico il filosofo Carlo Michelstaedter nella sua tesi di laurea “la persuasione e la rettorica”.
Enrico, quindi, parte e si autoesilia; ma in realtà non si autoesilia da nessuna patria, lui goriziano, italiano quindi, ma abitante nell’allora impero d’Austria – Ungheria, quotidianamente a contatto con la molteplicità di lingue e culture presente nella sua città e nella sua regione non poteva esiliarsi da una patria né da una cultura, si esilia quindi dai suoi cari e dagli amici.
Enrico in quegli amici vede se stesso: li reincontra al suo ritorno a Gorizia dopo molti anni, costretto al rientro dallo scorbuto, si trova come Ulisse al ritorno ad Itaca. Solamente in alcuni punti però la sua storia converge con quella del grande eroe greco. Enrico torna infatti in Patria, ma la sua Patria adesso è cambiata: c’è stata la guerra, l’Austria ha perduto Trieste che è adesso italiana. Enrico al suo ritorno riacquista quindi una patria che in realtà non aveva quando era partito (viene il dubbio se un personaggio controverso come Mreule abbia mai pensato di avere una Patria, abbia anche lontanamente pensato al concetto di Patria) è un’esperienza quindi nuova per lui, una novità, un nuovo mondo da esplorare. In realtà, quindi, lui non torna ma riparte di nuovo. I suoi amici lo ricordano come il Mreule di molti anni prima, esattamente quello che accade ad Ulisse al suo ritorno alla nativa Itaca. La memoria che gli altri hanno di loro non è più la stessa. Anche la memoria di Enrico quindi si confonde, “gli sembra di essere partito anziché ritornato” , gli sembra di essere partito dalla sua terra natale per essere approdato in un luogo sconosciuto, come Ulisse che non riconosce le sponde di Itaca al suo ritorno. Ulisse che all’infinito, alla vita eterna propostagli da Calipso, preferì il finito, il ritorno ad Itaca e Penelope. E così accade la stessa cosa ad Ulisse e, millenni dopo, al nostro Enrico: al loro ritorno tutti li ricordano come quando erano partiti, tutti raccontano loro quello che è successo durante la loro assenza, tutti si preoccupano di descrivere un mondo a cui i due sono appartenuti e sono, apparentemente, voluti tornare.
Questo raccontare è in realtà un legarsi ad un passato fisso e immutabile, ad un passato in cui sono rimasti imprigionati. Enrico si chiude sempre più in se stesso, cerca di ridursi, si isola, prova a scomparire. La filosofia del grande amico Michelstaedter è, per lui, la spinta a questo comportamento, ma si tratta però di un comportamento comune a molte persone che ritornano da un esilio, da un viaggio. Il ritorno è traumatico. In realtà noi siamo altri, ci vediamo con occhi differenti, ma negli occhi di chi ci conosceva ci specchiamo e ci riconosciamo come gli stessi che non sono mai partiti, che non hanno mai viaggiato, che son sempre rimasti nello stesso luogo.

Paolo Targioni
Corso di master lingua e letteratura italiana (USP)


 

 


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