Sublime, metafore subliminali e kitsch, L'Annunzio di d'Annunzio

Sergio Facchetti

Ogni tanto, diceva Paolo Poli, uno ha bisogno di qualcosa di brutto... lui consigliava di andare in Piazza della Vittoria a Brescia: puro stile Mussolino-Piacentiniano. Il brutto del resto può essere interessante e dare delle sorprese. Qual è in letteratura l'equivalente di Piazza della Vittoria? Senz'altro d'Annunzio, in fondo ci stiamo con le date e un poco anche con la geografia; l'Immaginifico non è finito con l'approdare sulle sponde bresciane del Lago di Garda?
L'annunzio è probabilmente tra le sue più brutte poesie, e forse per questo tra le meno note, vale a dire meno presenti nelle antologie scolastiche.
Eppure ha un a funzione strategica, posta dopo Alle Pleiadi e ai Fati, che è l'invocazione, L'annunzio è "l'enunciazione del tema", bucolico marino e guerriero, sotto l'egida di una visione panico dionisiaca, è quindi importante come testo programmatico, di tutte le Laudi.
Il poeta banditore araldo si rivolge a figure emblematiche, agricoltori e marinai, che ricordano per la procedura di composizione allegorica affreschi delle opere pittoriche del realismo socialista o fascista, ad essi a mo' di araldo vaticina un evento:

V'empirò di meraviglia;
v'infiammerò di gioia;

e invita a compiere gesti rituali

Ornate di purpuree bende il giogo oneroso..
Sospendete alla trave arida la ghirlanda aulente

Analogo invito è rivolto a compiere gesti rituali ai pescatori, accompagnato dalla profezia del poeta.

Udite, udite, o figli del Mare
Uditemi! Io vi dirò quel che da voi s'attende,
le vostre sorti auguste, la deità che in voi splende
e il Mar che è divino ancora.
Il mio canto vi chiama a una divina festa .

Giustificazione e spiegazione della convocazione solenne è il miniracconto dal verso 75 in poi, la seconda metà del poema, il dio Pan non è morto ma apparso al poeta, (redivivo Esiodo, cui erano apparse in sogno le Muse), lo ha invitato a celebrare le sue laudi, il poeta si impegna solennemente a farlo: egli canterà i mille nomi di Pan. .
Il nocciolo della poesia può essere visto in questa turgida perifrasi: "cantare i mille nomi di Pan"=="scrivere poesia di argomento bucolico marino e in parte guerriero"; tutta la poesia è, in fondo, un'amplificazione con variazioni di questa perifrasi.
La perifrasi è la fondamentale strategia dannunziana di elazione e intensificazione: "l'ornatus dannunziano nel suo complesso è una strategia perifrastica, tutta volta a sommare l'allontanamento da ciò che è comune" Ma nei romanzi il confine tra reale e non reale è sempre mantenuto per l'aderenza alle convenzioni del romanzo naturalistico; "i traslati strictu sensu, pur essendo incredibilmente numerosi, sono quasi senza eccezioni comparazioni con il "come" esplicito" e quindi tra il piano del reale e il piano del traslato esiste.un costante isomorfismo, e una costante separazione; nel testo poetico, invece, il livello simbolico metaforico assume una consistenza autonoma senza la dovuta referenza al piano del reale.
Nell'universo simbolista dannunziano si attua programmaticamente una semiosi che non interpreta il simbolo con il simbolizzato ( il reale), come fonte primaria della creazione del simbolico. Al contrario è la realtà ad essere costituita a partire dall'immaginario e dal simbolico.Nella visione dannunziana il contingente è inessenziale e degradato e può significare solo in quanto in esso si riconosce la sacralità del simbolo e del mito.
Solo dopo aver avuto accesso al piano dell'essenzialità sacrale del simbolico, il poeta potrà vederne, con occhi nuovi, la presenza nel contingente

Io vi dirò quel che da voi s'attende,
le vostri sorti auguste, la deità che in voi splende
e il mar che è divino ancora.

Moduli diegetici come la "visione", applicata ne'L'annunzio, e presente nei ditirambi, permettono di sfuggire alle maglie naturalistiche del romanzo e un'adesione completa e senza indugi al piano del mitico-simbolico. In maniera non realistica il poeta vede e dialoga col Dio. Il poeta è sacerdote e vate e la scrittura poetica è celebrazione ritualistica del dio.
Questo come necessaria introduzione al testo, ma tornando al punto di partenza perché L'Annunzio è brutto?
E' kitsch il travestitismo, che nella coazione verso il sublime, trasforma tutti gli elementi (se stesso, i propri destinatari, il fare poesia, il contenuto della propria poesia e i suoi effetti), in figurine di un teatrino mitologico-rituale arcaico. I destinatari cui si rivolge l'annunzio sono oltretutto i più improbabili lettori delle poesie di D'Annunzio, agricoltori e marinai; poiché in una visione estremamente riduttiva e arcaica de mondo del lavoro, è rigorosamente escluso il secondario e il terziario, pur se i tempi di composizione lo permettessero, non una dattilografa, un'operaia di filanda, un tornitore, un impiegato comunale... no solo agricoltori e marinai e anch'essi tanto emblematizzati e in una dimensione eroica, nudi i marinai, con gesti solenni e ieratici i contadini, senza una zappa una forca, ma ghirlande, vasi lustrali anfore ecc...
Ma scendendo più a fondo nel dettaglio dell'analisi testuale si consideri la prima strofa

L'ANNUNZIO
Udite, udite, o figli della terra, udite il grande
annunzio ch'io vi reco sopra il vento palpitante
con la mia bocca forte!
Udite, o agricoltori, alzati nei diritti solchi,
e voi che contro la possa dei giovenchi, o bifolchi,…
tendete le corde ritorte
come quelle del suono tese nella antiche lire,
e voi, femmine possenti in oprare e partorire,
alzate su le porte,
e voi nella luce floridi, e voi nell'ombra curvi,
fanciulli loquaci, vecchi taciturni,
o vita o morte,

Già il gioco di parole tra il titolo e il proprio nome (figura della ripetizione dell'involucro verbale, paranomasia) colpisce come una trouvaille di dubbio gusto...
Troviamo, poi la solita coazione alla ripetizione enfatica: individuato un elemento, d'Annunzio non lo lascia irrelato, ma ne spreme tutte le suggestioni e le possibilità in una dilatazione orizzontale del testo, non tralasciando nessuna delle possibili suggestioni che possono nascere di volta in volta.
L'incipit, Udite udite è una ripetizione contigua (geminatio) udite è poi ripetuto più volte nel testo a distanza (anafora), nella stessa strofa e nelle altre, ... certo fa molto banditore di fiera di paese.
L'apostrofe agli agricoltori ovviamente non è fatta una volta sola. ma viene estesa a tutta la famiglia, a femmine vecchi e bambini...
Nella costanza del voi anaforico, ripetuto insistentemente, si ha l'identificazione dei propri interlocutori, prima con una perifrasi figli i della terra e poi con agricoltori, nome comune della categoria, prima definita perifrasticamente, e poi con una specificazione di funzioni bifolchi, e poi di sesso: l'apostrofe alle femmine possenti.
A questo punto all'interno della famiglia dell'agricoltore, e all'interno della catena anaforica è nata impercettibilmente un'antitesi: uomo/ donna. (Non può sfuggire come di queste donne contadine viene ripetuta la stessa caratteristica degli animali: la possa dei giovenchi, e voi femmine possenti a sottolineare la stessa funzione bovino-riproduttiva.).
Sempre rimanendo all'interno della catena anaforica l'antitesi viene raccolta e ben sviluppata in una struttura iterativa abbastanza complicata che oppone luce ad ombra, silenzio e loquacità, floridi a curvi.

e voi nella luce floridi, e voi nell'ombra curvi,
fanciulli loquaci, vecchi taciturni

L'antitesi poi viene estrapolata dalla catena anaforica e amplificata in un'antitesi cosmologica metafisica o vita o morte, il che non ha una giustificazione, come dire, logica, (cosa c'entra a questo punto la vita e la morte?) ma ritmica melodica (terminare la strofa sulla nota più alta), e obbedisce alla regola che alla dilatazione orizzontale per accumulo di particolari, si abbia un'intensificazione semantica verticale, spaziale temporale o di qualunque tipo ...nella rincorsa spasmodica verso il sublime
Si assiste quindi ad una sorte di processo autogenerativo del testo, che procede come da geminazione spontanea per contiguità, obbedendo alla legge dell'amplificazione degli effetti: una specie d'autonomia dei significanti che è anche un'autonomia del livello retorico del testo. Una volta innescata, l'antitesi assume una sua forza autonoma, ipostatizzata nell'"antitesi" per eccellenza: vita o morte, che tuttavia è incoerente (e brutta) sintatticamente e semanticamante col punto di partenza, (il verbo dominante Udite), ed inconsistente rispetto alla sequenza inclusa nella catena anaforica figli della terra, agricoltori, bifolchi, femmine possenti, vecchi e fanciulli .

I meccanismi di geminazione quasi automatica e spontanea del testo si verificano non solo sull'asse sintagmatico della contiguità, ma anche su quello paradigmatico della simultaneità, della metafora. E' un meccanismo che introduce nel testo significati gratuiti e superflui, assolutamente non necessari al contesto e quindi kitsch, ma che d'Annunzio non sa e non vuole controllare; less is more non è un motto dannunziano, non fa parte della sua strategia il togliere, ma l'aggiungere l'accumulare; guai a buttare via qualcosa.

Si esamini la V strofa

Gittate le reti su i giardini del Mare
ove rose voraci s'aprono tra il fluttuante
dell'erbe confuse;
cogliete il ramo vivo nella selva dei coralli
ove fremono eretti gli ippocampi, cavalli
esigui, e le meduse
trapassano in torme leni come in aere nube;
cogliete i fiori equorei, molli come le piume,
dolci come le ciglia chiuse
Rose sarebbe una semplice metafora di fiori marini se accanto, l'aggettivo voraci non ci istigasse a pensare che lo sia anche di qualcosa d'altro, il che sarebbe uno degli usi metaforici più comuni, da Sergio Endrigo ad Umberto Eco, della parola rosa. (Il termine voraci è tipicamente dannunziano, ad indicare, qui come altrove, il misto d'attrazione, di paura e repulsione, per l'organo sessuale femminile, si pensi alla famosa perifrasi de L'Innocente: la piaga originale, la turpe ferita sempre aperta che sanguina e che pute). Se poi in seguito, troviamo eretti e frementi cavallucci marini, ecco che la seconda lettura metaforica di rose voraci viene rinforzata. Il tutto diventa il récit subliminale (nascosto e impercettibile, sotto la superficie del testo) di una copula. Dopo le rose voraci che s'aprono, al passaggio dei cavallucci eretti e frementi assistiamo al fluire inconsistente e lattiginoso delle meduse: torme leni come in aere nube, e il molle languore dei fiori equorei che prima voraci e un tantino minacciosi, ora sono diventati molli come le piume, dolci come le ciglia chiuse.
Avvertenza. E' peculiare del subliminale l'essere inconscio e impercettibile, quindi non certo, potrebbe darsi che questa lettura sia il prodotto della mia mente bacata e non di quella innocente del nano erotomane del Vittoriale.

 


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