I
danni della discordia e l’esempio di Gengis Khan
È incredibile la
potenza sprigionata dall’unione ed è incredibile la capacità
devastatrice della discordia. Per secoli le tribù mongole hanno
guerreggiato fra di loro, per secoli si sono logorate in interminabili
catene di vendette. Poi Gengis Khan con la forza, l’astuzia, la
diplomazia è riuscito ad unificarle, a costruire un esercito
compatto e con una rigorosa originale tecnica bellica. E ha additato
ai mongoli una meta: la conquista del mondo. Essi hanno incominciato
a credere di poterla raggiungere quando hanno sconfitto eserciti più
numerosi, quando si sono diffusi la fama del gran Khan e il terrore
delle sue crudeltà. I generali, i parenti che lo hanno servito
sono stati ricompensati. Gli altri sono stati uccisi. Gengis Khan non
ha conquistato il mondo, ma ha pur sempre creato il più grande
impero della storia.
Però non sono solo la forza, la vittoria e il terrore ad avere
la capacità di unificare. L’ha anche la nascita improvvisa,
la diffusione di una nuova fede nei movimenti collettivi. I movimenti
hanno la proprietà di suscitare in coloro che ne sono coinvolti
una straordinaria solidarietà e un fortissimo spirito di fratellanza.
Scompaiono le ambizioni, gli egoismi individuali, tutti si dedicano
allo scopo comune.
I sociologi anglosassoni hanno cercato in ogni modo di dimostrare che
la forza che muove le persone nei movimenti nasce dall’interesse,
se non attuale, futuro. Come il paradiso per i martiri cristiani e per
i guerrieri islamici. Ma che utile personale ha l’ateo marxista
che muore per la rivoluzione? E’ lo stato nascente del movimento
che genera entusiasmo, fede, amore reciproco e generosità. Ciascuno
dimentica i propri interessi e si sacrifica per la comunità,
sia essa la Chiesa cattolica, l’Umma islamica, il Partito o la
Patria.
Ed è questa la forza unificante più importante. Le formazioni
sociali nate dalla conquista di un esercito hanno vita breve. Alla morte
di Gengis Khan l’impero si è diviso, poi sbriciolato e,
alla fine, le tribù mongole hanno ricominciato a farsi guerra
come prima. Lo stesso è accaduto all’impero di Alessandro,
a quello di Attila.
Quando si disgregano le formazioni sociali? Quelle nate dalla paura
di esser uccisi quando scompare chi le terrorizza. Quelle nate dagli
interessi quando non vengono raggiunti.
Quelle nate dai movimenti quando i loro membri perdono la fede. Allora
scompare l’amore per la comunità. Non gli importa più
nulla della Chiesa, del Partito, della Patria per cui si sono sacrificati.
Svaniscono l’amore reciproco, l’altruismo, la fratellanza
ed esplodono le ambizioni, gli egoismi individuali. Gli individui si
rivoltano contro l’edificio che hanno costruito, lo sbranano,
lo saccheggiano e si scontrano fra di loro pensando solo ad arraffare
qualcosa per sé.
Oltre due millenni e mezzo fa Empedocle di Agrigento aveva posto alla
base di ogni cosa due forze: eros e discordia. La prima edifica, la
seconda distrugge.
Ora prevale l’una, scriveva, ora l’altra. E Freud ha postulato
due principi: Eros che unisce e Thanatos che frantuma. L’ha fatto
durante la Prima guerra mondiale quando ha visto l’Europa dilaniarsi
senza un motivo razionale, presa dalla dissennatezza omicida, dall’autodistruzione.